Football Stories: Cristiano Ronaldo

Ci sono stati vari giocatori nel corso degli anni segnalati come il nuovo George Best, ma questa è la prima volta che è stato un complimento per me.” (George Best).

il fenomeno di Belfast e il giocatore di cui stiamo andando a parlare hanno moltissime cose in comune: hanno giocato nel Manchester United, indossavano entrambi la magica “7”, hanno segnato (e uno dei due continua a farlo) valanghe di gol e hanno vinto la Champions League da protagonisti. Il secondo ne ha addirittura vinte due, una al Manchester United e l’altra al Real Madrid. La prima sotto gli occhi del suo mentore, del suo secondo padre, quel Sir Alex Ferguson che tanto lo ha voluto e tanto lo ha cambiato. Così come è stato per Busby nei confronti di Best. La seconda, invece, l’ha vinta al Real Madrid. Non una squadra qualsiasi, non una coppa qualsiasi: era la tanto agognata Decima e a osservarlo c’era Alfredo Di Stéfano, colui che lo ha consigliato al presidente Pérez definendolo suo erede. Si chiama Cristiano Ronaldo, nome evocativo di uno dei più grandi calciatori della storia. Per distinguerli si usa definire l’altro con l’appellativo di “fenomeno“, ma siete proprio sicuri che questa soluzione valga ancora oggi?

UN RAGAZZO NATO PER VOLERE DI DIO: Siamo a Funchal, capoluogo della provincia autonoma di Maderia, Portogallo. Prima di Cristiano Ronaldo, il protagonista di questa storia è una donna: la signora Dolores. Rimasta incinta a distanza di 10 anni dalla nascita del suo terzo e ultimo figlio, nutre seri dubbi sulla volontà di far nascere anche questo. Il consiglio che una saggia vicina di casa le dà è il seguente. “Dolores, bevi birra scura e corri a perdifiato“. Detto, fatto: così si può perdere il figlio. Il consiglio, fortunatamente per tutti gli amanti del calcio, non si concretizza e il 5 febbraio del 1985  nasce Cristiano Ronaldo Aveiro Dos Santos. “Cristiano” per ovvi motivi religiosi, Ronaldo in onore di Ronald Reagan (presidente degli Stati Uniti), “Aveiro” è il cognome del padre e “Dos Santos” quello della madre. Il piccolo Ronaldo inizia a giocare a calcio in strada, come spesso accade ai ragazzi poveri. Insieme a lui c’è suo cugino Nuno che, un giorno, gli propone di andare a giocare nella sua squadra: l’Andorinha, È qui che a Cristiano vengono affibbiati i primi due soprannomi: il primo è “Abelinha“, cioè “la piccola ape”, in quanto si muoveva rapidamente e “pungeva”; il secondo è “o lorón(piagnone), perché – se capitava che perdesse una partita – iniziava a piangere. Quest’ultimo particolare gli rimarrà per tutta la vita: non accetta l’idea di perdere, per nessun motivo al mondo.

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L’ABELINHA SPICCA IL VOLO: Accortosi del talento di Ronaldo, le due squadre principali della zona si interessano immediatamente a lui. Alla fine, sarà il Nacional a spuntarla sul Maritimo: l’Andorinha riceve 20 palloni e un kit completo di abbigliamento tecnico per i ragazzi. Qui le partite finiscono mediamente 10-0, lui è determinante e – ovviamente – le lacrime sono ridotte a zero. Lo Sporting Lisbona, una delle squadre più importanti in Portogallo, si fa avanti per accaparrarsi i servigi del ragazzino. Il Nacional deve parecchi soldi allo Sporting, una cifra intorno ai 22.500 euro, così gli viene chiesto di estinguerlo attraverso l’acquisto del ragazzino. Il presidente, ovviamente, non accetta: “sarà anche forte, ma noi questi soldi per un giovane non li spenderemo mai. Provate a mandarcelo, ma non garantiamo nulla”. Così fanno, nonostante la signora Dolores, in un primo momento, si fosse dimostrata totalmente contraria al trasferimento. La morale della favola è che, dopo aver visto di cosa era capace il fenomeno portoghese, di quella cifra ne spenderanno la metà. E pure volentieri. Dopo pochissimo tempo gli si spalancano le porte della prima squadra, con la quale – il 27 agosto del 2002 – fa il suo esordio in Champions League contro l’Inter. A ottobre arriverà anche il suo primo gol in campionato, contro il Moreirense, ed è davvero un capolavoro. Uno dei tanti della sua carriera. La partita più importante per il suo futuro sarà però un’amichevole, nell’agosto del 2003: in occasione dell’inaugurazione del nuovo José Alvalade (lo stadio dello Sporting), arriva il Manchester United. Cristiano gioca tutti e 90 minuti, a una velocità media di circa 25km/h e letteralmente ridicolizzando John O’Shea, terzino irlandese dello United. Una volta tornati sul pullman che li avrebbe ricondotti in albergo, i giocatori del Manchester United si rivolgono direttamente al loro manager, il leggendario Sir Alex Ferguson: “Boss, noi quel ragazzo lo prenderemmo. Ha giocato una partita fenomenale e John è talmente frastornato che non ricorda nemmeno come si chiama“. Ferguson si limita a rispondere che costa tantissimo e che proverà a fare un tentativo. In realtà, lo ha già preso: 15 milioni di euro nelle casse dello Sporting, con la promessa di farlo rimanere un altro anno in Portogallo. Promessa che, ovviamente, non verrà mai mantenuta. La sua idea è geniale: vuole che siano i compagni di squadra ad accettarlo, vista la personalità straripante del ragazzo.

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IL NUOVO 7 DEI RED DEVILS: Dopo averlo visto allenare, Ferguson si accorge immediatamente che – con i suoi insegnamenti – potrà diventare il giocatore più determinante del mondo in poco tempo. Il problema più grande da risolvere è coniugare la sua ossessione per la vittoria e il suo modo di stare in campo. Se prima Ronaldo si lasciava andare a giochetti fini a se stessi, adesso deve dare loro uno scopo ben preciso. In più, bisogna necessariamente aumentare il numero di gol, fino a quel momento troppo pochi rispetto alle sue reali potenzialità. Come prima cosa, però, andava modificato il suo profilo psicologico: alla prima partita ufficiale, Ronaldo chiede il “28”, numero già usato allo Sporting, ma Ferguson gli dà immediatamente la “7”. Già, la “7”: la maglia più prestigiosa che si possa indossare al Manchester United. È stata la maglia di Beckham, di Cantona e – soprattutto – di George Best. Sir Alex voleva fare di CR7 il suo personalissimo George Best, così – oltre al numero – cerca in tutti i modi di farlo assomigliare a lui anche sotto il profilo tecnico: Best tirava anche di sinistro, Best rientrava a centrocampo e Best la colpiva di testa. Tutte cose che, adesso, dovrà fare anche lui. Per quanto riguarda il numero dei gol, Ferguson – da buon anglosassone – decide di scommettere con Ronaldo. Le prime volte scommettono 100 sterline su un determinato numero di gol, al quale Ronaldo si avvicina ma non riesce mai a raggiungere. Finché non è stato proprio il portoghese ad aumentare la posta in palio: “Boss…ma se ne scommettessimo 400?“. Ecco, da quel momento diventerà una macchina da gol inarrestabile: dalla doppia cifra raggiunta con fatica, si passa ai 40 gol stagionali. Ferguson aveva perso 400 sterline ma, in realtà, aveva comunque vinto la sua scommessa. L’apice della sua carriera in rosso è rappresentato dalla stagione 2007-2008, quando lo United raggiunge la finale di Champions. La partita si gioca a Mosca e davanti a lui c’è il Chelsea, in un derby tutto inglese. La partita di Cristiano sarà dai due volti: lo porterà a toccare il cielo con un dito e, successivamente, a vedere l’inferno molto da vicino. Apre le marcature con un imperioso colpo di testa all’angolino, Lampard pareggia e il punteggio di 1-1 si protrae fino alla fine dei supplementari: saranno i calci di rigori a sancire il vincitore. Ecco che arriva l’inferno per CR7: si presenta sul dischetto ma si fa ipnotizzare da Cech. Convinto di aver gettato al vento la possibilità di vincere il trofeo, si mette le mani nei capelli. Non sa, però, che un clamoroso scivolone di Terry manterrà a galla lo United e permetterà ai Red Devils di conquistare quella coppa. Come prevedibile, il pallone d’oro sarà suo. Nella stagione successiva vincono nuovamente la Premier League, ma in finale di Champions non riescono ad avere la meglio sul grande Barcellona di Pep Guardiola e, soprattutto, di Lionel Messi. L’argentino con la “diez” sulle spalle, che continua a rappresentare l’avversario più ostico per il portoghese in campo nazionale e internazionale. Un avversario, è vero, ma – come lui stesso ammetterà – anche uno stimolo.

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L’OSSESSIONE REAL: Nel 2009 si registra l’acquisto più costoso mai effettuato fino a quel momento. Cristiano Ronaldo passa al Real Madrid per una cifra esorbitante: 94 milioni di euro. Adesso Messi è più vicino, e questo gli servirà da ulteriore sprono per continuare a migliorarsi. Nella sua esperienza con le Merengues, gli allenatori che – fino a questo momento – lo hanno cambiato sono stati due: Mourinho e Ancelotti. Il primo gli ha allargato il fronte offensivo; l’altro, unico nel valorizzare i top-player e a interfacciarsi con loro, lo mette definitivamente al centro del progetto. Proprio con quest’ultimo, Ronaldo raggiunge l’apice della sua carriera. Il suo 2014 è spaventoso, soprattutto in Champions League. Segna praticamente a tutte le squadre contro cui gioca e trascina letteralmente il Real alla finale di Lisbona, la sua Lisbona, contro gli eterni rivali dell’Atletico. La partita in sé presenta uno scenario quasi perverso: se avesse vinto il Real, avrebbe conquistato la Decima e l’avrebbe alzata in faccia ai rivali; viceversa, l’Atletico avrebbe vinto la sua prima, storica, coppa e avrebbe prolungato l’ossessione dei Blancos. Godin porta in vantaggio i Colchoneros e il risultato di 1-0 sembra essere quello definitivo, ma al 93° gli dei del calcio vedono bianco: corner di Luka Modric e pareggio di Sergio Ramos di testa. Si va ai supplementari, ma l’Atletico non ne ha più: Bale, Marcelo e proprio Ronaldo, su rigore, mettono la parola fine sulla partita. Alfredo Di Stéfano aveva ragione: il suo erede è lui. Ormai malato da tempo, la “saeta rubia” lascerà questo mondo due mesi dopo aver visto il Real sollevare la decima Coppa dei Campioni della sua storia, come se gli mancasse solo questo da vedere.

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La sua carriera, come sappiamo, non è di certo terminata qui. Ha vinto 3 palloni d’oro e, durante l’ultima premiazione, ha annunciato di voler raggiungere Messi già il prossimo anno. Lui è così, sa benissimo che non esistono vittorie eterne e gli stimoli non gli mancano. Tutti gli allenatori che ha avuto hanno affermato che è il primo ad arrivare all’allenamento e l’ultimo ad andarsene. Al termine di ogni partita, sia essa in casa o in trasferta, si reca al centro sportivo del Real per immergersi in una vasca ghiacciata, così da mantenere in forma il suo fisico. I suoi tifosi possono stare tranquilli. ma se questo non accadesse sarà proprio Cristiano a dirglielo, dopo ogni gol: “calma, calma. Eu estou aqui“.

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