Football Stories: Rafael Marquez, il Gran Capitan

Dream Team. Questo è il termine usato per descrivere una squadra che in ogni ruolo, ha un puro fuoriclasse. In passato vi sono stati, l’Olanda del ’74, il Milan di Sacchi e nell’ultimo decennio questo termine è stato spesso accostato al Barcellona. In maglia blaugrana sono passati Ronaldinho, Deco, Henry, Eto’o, Ibrahimovic senza dimenticare Puyol e David Villa. Spesso però i nomi più illustri, oscurano i calciatori meno importanti ma che comunque risultano fondamentali per gli schemi di gioco e le conseguenti vittorie. Come non ricordare Abidal, Yaya Touré, Pedro, Bojan e Rafa Marquez. Proprio quest’ ultimo accanto a Puyol, formerà una coppia difensiva da far invidia a tutti gli allenatori. Garra, corsa e tempismo, i due si trovavano a meraviglia e spesso hanno risolto partite ed episodi ormai già scritti a sfavore. Ma andiamo con ordine.

Michoacan, nella lingua dei purépecha significa “terra di pescatori”. Questa meravigliosa parte del Messico sud-occidentale, ha una grande tradizione di pescatori ormai da millenni. Anche lo spettacolo che recitano qui le farfalle sono una cosa che non si può vedere in nessuna altra parte della terra. Zamora de Hidalgo è un importante centro culturale di questa regione, situato a poco più di 1500 metri sopra il livello del mare con 140.000 abitanti. Da queste parti il 13 febbraio 1979 nasce Rafael Marquez che molti anni dopo diverrà un grande esempio per tutti i messicani che lo nomineranno Gran Capitan. Da bambino era sveglio, vivace e aveva sempre una voglia pazza di giocare con la palla, magari anche con le mani ma è con i piedi che si trovava veramente a suo agio. Dopo aver giocato per alcune compagini locali, nel 1996 si trasferisce nel Jalisco perchè è arrivata da Guadalajara una irrinunciabile offerta dal Club Atlas, per cui il ragazzino, entusiasta ma con la testa sulle spalle, parte per una nuova sfida. Debutta col club rosso nero solo qualche settimana dopo il suo acquisto. Efrain Flores ai tempi entrenador del club, lo fa esordire a soli 17 anni rimanendo anch’ egli molto soddisfatto del rendimento del ragazzo. Flores allenerà per soli pochi mesi il giovane Marquez e al posto del messicano, il Club Atlas opta per Ricardo La Volpe come nuovo allenatore della squadra. L’ex portiere argentino non toglie Marquez dalla formazione titolare e grazie alla sua ottima gestione della squadra, arriverà in finale del Verano 1999 perso però soltanto ai rigori contro il Toluca. Intanto arriva per il difensore la chiamata della Nazionale messicana ed esordisce a Città del Messico il 5 febbraio 1997. Dopo più di due anni senza Nazionale, torna a giocarci nel 1999 e torna nel migliore dei modi, ovvero con un gol nella Carlsberg Cup, giocata ad Hong Kong. Sulla panchina del Club Atlas tornerà Flores ma a Rafael questo poco importa perchè come ogni ragazzo che gioca in America che sia sud o nord, spera sempre in una chiamata dal vecchio continente dove lì si gioca il calcio, quello che vero, quello che conta e che ti rende completo.

A 20 anni, Rafael Marquez è sicuramente uno dei giocatori più interessati dell’ intero panorama mondiale. Il Monaco ha messo gli occhi sulla giovane promessa messicana e intende in tutti i modi, portarlo nel Principato. Con una offerta vicina ai 7 milioni di dollari il Club Atlas cede Marquez ai biancorossi di Francia. Marquez arriva nel Principato e al primo allenamento ha già a che fare con gente come Trezeguet, Barthez e Dado Prso, oltre a Costinha, Sagnol e Giuly, insomma non gli ultimi arrivati. L’ obbiettivo del club è quello di migliorare il quarto posto della stagione precedente e Claude Puel ha a disposizione ottimo materiale per riuscirci. Tra la 15esima e la 34esima giornata, il Monaco non lascerà mai il primo posto, riuscendi a vincere il suo settimo titolo della storia. Grazie ai 22 gol di Trezeguet, ai 21 di Marco Simone e a una differenza reti di +31 (38 le reti subite), il Monaco vincerà il campionato. Marquez segna il suo primo gol europeo il 7 novembre 1999 nel pareggio interno contro il Marsiglia. Il secondo arriva due settimane dopo nella vittoria ai danni del Sedan per 2 a 1. Una settimana dopo segnerà il suo terzo e ultimo gol in campionato. Rafael in breve tempo diviene una delle colonne della squadra, risultato inaspettato per quanto provenisse da un campionato molto meno tecnico e competitivo. Il messicano stupisce tutti e nel giro di poche partite fa parlare di sè, grazie anche al suo tempismo e alla sua grinta che, nonostante la giovane età e un mondo completamente diverso da quello messicano, lo rendono un giocatore pericoloso anche sui calci d’ angolo. La vittoria in Division 1 dà la possibilità ai monegaschi di tornare a giocare la Champions League. Il girone appare facile, forse anche troppo ma i francesi prendono sotto gamba le altre squadre e finiscono quarti, alle spalle di Sturm Graz, Galatasaray e Glasgow Rangers. Il quarto posto elimina di fatto i francesi da ogni competizione europea. Marquez ormai ha fame di successo e iniziano i primi veri importanti rumors. 

Intanto si gioca il Mondiale nippo-coreano e il Messico dopo aver superato il girone, affronta agli ottavi gli Stati Uniti, una partita molto sentita da entrambe le parti. Gli States grazie ad un gol per tempo di McBride e Landon Donovan, surclassano il Messico di Marquez, che verrà espulso al 90esimo. Tornato in Francia, Marquez gioca la sua ultima stagione al Monaco prima di approdare al Barça di Rijkaard. E’ il Barça di Saviola, Overmars e Dinho, di Quaresma, Davids e Cocu e Laporta regala al suo allenatore uno dei migliori centrali difensivi in circolazione. Per poco più di 5 milioni di euro, Marquez si trasferisce nel capoluogo catalano, dando inizio ad una lunga avventura al Camp Nou. La prima stagione col Barça non è tuttavia da buttare: il Valencia vince la Liga con 5 punti di distacco, proprio sul Barcellona, in Coppa UEFA esce agli ottavi col Celtic e pure in Coppa del Re, non va oltre gli ottavi. Zero titoli per il Barcellona dunque ma da qui in avanti i blaugrana vinceranno qualsiasi cosa ci sia in palio. Tanto per cominciare, dalla cantera sbuca un nuovo fenomeno argentino mentre il messicano nel corso della stagione viene spostato da Rijkaard da centrale difensivo a centrale di centrocampo visti gli infortuni di Motta, Edmilson e Lopez. Grazie a questo ruolo, svilupperà in poco tempo una notevole abilità balistica, migliorando il controllo palla, la visione di gioco ma soprattutto il tiro, infatti grazie specialmente a Ronaldinho, il messicano prenderà sempre più confidenza coi calci piazzati e in quelle poche occasioni che Dinho non c’è, il tiratore diventa proprio lui piazzando varie volte la palla in rete. Marquez diviene la chiave del centrocampo e del gioco dei catalani e grazie anche a Ronaldinho e a Puyol dietro, il Barça si porta a casa il suo diciassettesimo titolo nazionale. Il Barça però non si accontenta e bissa il successo in campionato anche nella stagione successiva giocando però meno del dovuto, colpa di un grave infortunio al ginocchio sinistro. Il cammino in nell’Europa che conte prosegue a grandi cavalcate. Iniesta castiga il Chelsea, poi è il turno del Benfica ad essere eliminato mentre in semifinale il Barça se la vede col Milan, finalista la stagione prima ma perdente ad Istanbul. Il Milan crea parecchio e spreca moltissimo mentre il Barça crea poco ma segna una rete con Giuly che permette ai catalani di conquistare la finale di Parigi. Il risultato della finale lo conosciamo tutti e Rafa Marquez diviene il primo messicano a vincere la Champions League.

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La stagione del messicano non è comunque finita qui, perchè il 2006 è il tanto atteso anno dei Mondiali in Germania. Le favorite sono Germania, Francia, Brasile e Argentina. Il Messico pesca un girone tutto sommato ottimo, con Portogallo, Angola e Iran. I messicani raccolgono 4 punti in nelle tre partite del girone e sfidano negli ottavi di finale l’ Argentina di Riquelme. Al Zentralstadion di Lipsia (oggi Red Bull Arena) il Messico parte forte, soprattutto il capitano che sbuca alle spalle dei difensori e insacca al volo dopo una grande sponda di un suo compagno. Marquez corre stringendo forte fra la sua mano destra la maglia verde della sua nazionale. La partita è frizzante e quattro minuti dopo, Hernan Crespo rimette la partita in parità sugli sviluppi di un calcio d’ angolo. I primi 90 minuti se ne vanno ma al 98esimo, Maxi Rodriguez condanna i messicanni a tornare a Città del Messico forse immeritatamente, forse troppo presto. Marquez, torna dalla Germania consapevole dei suoi mezzi e vuol continuare a far bene anche in terra spagnola. Il messicano si conquista la fiducia e la stima di tutto spogliatoio e quando mancano i “senatori” in campo è lui il capitano della formazione blaugrana. Dopo il Mondiale tedesco è il momento di giocare la Coppa America ma in semifinale è ancora l’ Argentina a fare lo scherzetto ai messicani, vincendo 3-0, spedendo Marquez e compagni a tornare nuovamente in madre patria a mani vuote. Nell’estate del 2008 torna a Barcellona, Pep Guardiola in veste da allenatore, carico e pronto a scrivere pagine dorate del calcio spagnolo cambiando schemi e metodi di lavoro che gli daranno poi ragione. Il 13 dicembre 2008 Marquez festeggia la presenza numero 200 con la maglia del Barça. Quella data non è però una data qualsiasi perchè va in scena il clasico al Camp Nou e le marcature di Eto’o e Messi in 8 minuti, regalano a Guardiola il suo primo clasico vincente. Il 27 maggio del 2009 a Roma il Barça stritola lo United di Ronaldo e conquista la sua seconda Champions League in appena tre anni. Il 2010 è sinonimo di Sudafrica e sotto le note di Waka Waka, Rafa Marquez segna il gol del pareggio contro i padroni di casa nell’ 1-1 che apre il Mondiale. Il Messico passa nuovamente il turno con 4 punti e indoviate chi affronta agli ottavi? Si, proprio loro, la nazione di Messi e Maradona. Il risultato è quello di sempre ovvero Argentina avanti, Messico fuori. Marquez, ancora una volta sconfitto dal suo compagno di squadra, (quello piccolino con il 10) torna a Barcellona ma col passare del tempo e soprattutto degli anni cede il posto ad un giovane Gerard Piqué che in breve tempo diverrà un suo degno erede seppur con piedi meno educati.

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Con rammarico ma consapevole di aver dato tutto, Rafael rescinde col Barça e firma per i New York Red Bull a 31 anni. Nonostante le offerte da parte di Juve e Fiorentina, Rafa sembra aver scelto di cambiare stile di vita e approdare nella metropoli statunitense per chiudere la carriera e per cambiare appunto le proprie abitudini. Negli States viene tuttavia accolto bene nonostante sia sempre stato un arci rivale (sportivo) degli Stati Uniti. A New York ritrova il suo vecchio compagno di squadra Titì Henry, anch’egli per chiudere la carriera e fare la differenza anche States. 

Due anni di buon livello non convincono Marquez a rimanere a New York e torna in patria per giocare col Leon. Neanche il tempo di rispettare il contratto biennale che arriva una chiamata dall’altra parte del mondo. Alla cornetta è Andrea Mandrolini e vuole a tutti i costi il difensore messicano che ha ben figurato nel Mondiale brasiliano trascinando ancora una volta la sua Nazionale. Rafa accetta di tornare in Europa e insieme a Toni trascina con carisma ed esperienza l’ Hellas ad una grandiosa stagione, sfiorando l’Europa. La stagione 2015 si apre con il pareggio interno contro la Roma ma col passare delle giornate le cose non andranno nel modo migliore per i veneti. Nonostante il pubblico sia sempre e costantemente vicino alla squadra, i ragazzi giallo blu non riescono ad ingranare la marcia, complice anche la lunga assenza del bomber Luca Toni che a quasi 40 anni riesce ad essere ancora decisivo. Pochi oggi, come lui.

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Rafa decide assieme alla società di rescindere il contratto e a dicembre 2015 Marquez si imbarca su un volo di sola andata verso il suo amato Messico. Il Jalisco lo attende e all’aereoporto vi sono centinaia di tifosi dell’ Atlas impazziti per lui, frenetici e contenti di aver di nuovo fra le loro braccia il grande difensore, partito ragazzino e tornato uomo maturo, pieno di garra e leadership. Il Gran Capitan è tornato a casa ma gli anni sembrano non esser passati perchè ancora oggi comanda e guida da solo il reparto difensivo dei rossoneri. Il viaggio e la lunga esperienza in Europa gli son serviti a crescere e a migliorare tecnicamente e caratterialmente ma quel frenetico amore per la sua patria lo ha chiamato, quasi supplicato a tornare per far vedere ai messicani e al mondo gli ultimi sprazzi di un grande campione, passato spesso, forse troppe volte in seconda linea. I numeri e i trofei che ha conquistato parlan per sè ma tutto il mondo sa che il Messico non avrà forse mai più un leader carismatico e simbolico come lui.

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