Per quanto non esaltante, quella stagione resta però indimenticabile a livello personale, perchè contro ogni pronostico vinsi il Pallone d’Oro davanti a Henry e Maldini.
Non sono un falso modesto, e quello che dissi pochi giorni prima dell’assegnazione lo penso tutt’ora: non sono bello da vedere e mi manca una grande vittoria, non posso competere con campioni come Raul, Figo e Zidane.
In effetti la grande vittoria non arrivò, ma i giornalisti europei decisero di premiare la mia rabbia agonistica, la voglia di vincere, la capacità di mutare pelle senza mai perdere l’obiettivo comune, lo spirito di squadra che ci aveva reso quasi imbattibili.
In quel mio 2003 quasi perfetto segnai 14 gol, 9 in campionato e 5 in Coppa, vinsi lo Scudetto, arrivai alle porte della finale e portai la mia Nazionale alle fasi finali dell’Europeo, diventando il secondo calciatore ceco a vincere il Pallone d’Oro dopo Masopust. Giuro che sono onesto quando dico che lo baratterei con la Coppa dalle grandi orecchie, ma solo con quella, perchè il Pallone d’Oro è qualcosa di unico, che regala popolarità e visibilità e ti fa entrare in un club ristretto di campioni. Subito dopo la vittoria lo dedicai alla mia famiglia e a me, per tutti i sacrifici che avevo fatto e per le ore di allenamento solitario per migliorare piccole cose, solo apparentemente insignificanti ma in realtà fondamentali. Ma lo dedicai anche ai miei compagni di squadra dei Pulcini nello Skana, quelli che non avevano avuto paura di sognare e di dire che un giorno avrebbero giocato in Nazionale e sarebbero stati i più forti del Mondo. Io ce l’ho fatta, e ce l’ho fatta anche per loro”.
(Pavel Nedved)