RONALDO LUÍS NAZÁRIO DE LIMA: UNA VITA DA FENOMENO

Chi segue il calcio da parecchio tempo, quando si parla di “Ronaldo“, vivrà perennemente con una disambiguazione nella mente. Di chi si parlerà? Dell’extraterrestre con il capello gellato o del pelato che ha incantato il mondo fino a qualche anno fa? Per far capire di chi si tratta si è soliti usare un appellativo: “il fenomeno“. L’altro è CR7. Avete già capito di chi stiamo andando a parlare.

GLI INIZI EUROPEI: IL PSV.

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Era una domenica mattina del 1995, niente scuola, tutti a casa a guardare la tv. Facendo zapping, eccomi approdare sulla famosissima Telemontecarlo (il “papà” di La7, per intenderci). “Uhm, il campionato olandese, vediamo un po’ “. Già da piccolo andavo matto per il calcio, fosse esso italiano o venezuelano. Quando c’era una partita, bisognava vederla. Il numero 9 sulla maglia, capelli ancora non del tutto rasati, quella velocità da fare invidia ad un grande centometrista. Doppietta e partita vinta per 3-1, me ne innamorai fin da subito. Da quel momento in poi, ogni domenica c’era un appuntamento fisso: giocava il fenomeno. Nei due anni al PSV, Ronaldo realizzò 54 gol in 58 apparizioni. Numeri da fare girare la testa, se pensiamo anche al fatto che aveva solo 20 anni. L’ultimo anno a Eindhoven fu molto travagliato: fin da allora si iniziavano a manifestare i problemi al ginocchio. Gli stessi che lo tormenteranno per tutta la carriera. Addirittura il PSV fu accusato di doparlo, ma rimasero solo parole. La società olandese decise pertanto di assecondare la sua volontà di tentare un’altra esperienza e lo cedette al Barcellona per una cifra “record” di 30 miliardi delle vecchie lire. Attorno al trasferimento del brasiliano in blaugrana aleggia anche una curiosità: l’Inter, che lo acquisterà al doppio del prezzo l’anno dopo, godeva del diritto di prelazione sul calciatore in virtù della cessione di Wim Jonk proprio agli olandesi. Moratti, però, dichiarò che 30 miliardi forse non li valeva. Che la società nerazzurra abbia venduto lo stesso anno un certo Roberto Carlos, ad una cifra ridicolmente bassa, è un’altra storia.

L’INIZIO DEL MITO: DAL BARCELLONA ALL’INTER. CORSI E RICORSI STORICI.

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L’allenatore del Barcellona era Robson, non certo un difensivista. I catalani riuscirono a vincere sia la Copa del Rey che la Coppa delle Coppe, ma in Liga dovettero soccombere al grande Real Madrid guidato da Fabio Capello. Nonostante la sconfitta, i numeri offensivi erano incredibili: 102 gol all’attivo e 12 partite con più di 4 gol segnati. Non è un caso se, quell’anno, il fenomeno ne fa 47 in 49 partite, laureandosi tra l’altro come pichichi. Le parole di Jorge Valdano, al tempo allenatore del Valencia al quale Ronaldo aveva appena segnato una tripletta, sono più che esaustive per spiegare come era visto il brasiliano: “Non è un uomo, è una mandria di cavalli“.

Per uno strano caso del destino – chiamiamolo così – il Fenomeno, dopo un solo anno in blaugrana, cambia di nuovo maglia…e paese. Ad accoglierlo è l’Italia, la maglia è proprio quella a strisce nerazzurre dell’Inter. Moratti, che l’anno prima non voleva spendere 30 miliardi per lui, ne aveva appena sborsati quasi il doppio.

Stava iniziando così “l’era Ronaldo“, quella in cui la Nike era entrata di prepotenza nel mondo del calcio e aveva scelto
proprio lui, insieme a tutta la nazionale brasiliana, come sponsor. Chi di noi non ricorda la celeberrima pubblicità dell’aeroporto? I mondiali del 1998 erano vicini, il fenomeno sarebbe stato protagonista. Nel bene e nel male.

Il primo anno di Inter fu entusiasmante. Il numero 9 era occupato da Ivan Zamorano, così sulle spalle del costosissimo gioiellino pelato c’era il 10. La squadra arrivò seconda in campionato (sì, il contatto Iuliano-Ronaldo lo ricorderemo per sempre), ma riuscì a vincere la Coppa Uefa nel derby italiano contro la Lazio a Parigi. In quella partita, il gol del definitivo 3-0 lo segnò proprio il fenomeno con un gol dei suoi. Chiedete a Marchegiani in che direzione sia andato, probabilmente non lo saprà nemmeno lui. La vittoria del pallone d’oro sarà la ciliegina sulla torta di un’annata a dir poco formidabile. Arriva così la rassegna mondiale, competizione che Ronaldo aveva già vinto nel 1994 senza mai
giocare una partita. Stavolta le cose erano diverse: il titolare era lui e un’intera nazione sperava nei suoi gol per mantenere il titolo. Ciò che accadde veramente quella notte in albergo, prima della finale decisiva contro i padroni di casa, lo conoscono solo i presenti. Tutti, invece, hanno visto il suo viso in campo il giorno dopo e all’arrivo dell’aereo che
riportava a casa la nazionale verdeoro: il giocatore più forte del mondo era diventato irriconoscibile.

Il resto del periodo interista, purtroppo per lui e per tutti gli amanti di questo sport, lo segnerà definitivamente dal punto di vista fisico: il 21 novembre 1999, durante un match contro il Lecce, Ronaldo si lesiona il tendine rotuleo. Ci vorranno sei mesi prima di tornare all’attività agonistica. Il suo ritorno in campo, però, non andò come si sperava. In occasione della finale d’andata di coppa Italia contro la Lazio, il 13 aprile 2000, passarono solo sei minuti dal suo ingresso prima che il tendine rotuleo si rompesse del tutto. I presenti ricordano che le grida si percepirono addirittura al di fuori dello stadio. Come se non bastasse, a mettere fine alla sua avventura interista ci fu quel giorno disgraziato per tutti i tifosi nerazzurri: il 5 maggio 2002. Lo scudetto si cucì inaspettatamente sulle maglie della Juventus e l’Inter, da vincitrice ormai certa, affondò al terzo posto dopo la Roma. Tra infortuni e tristezza, la carriera di Ronaldo era messa fortemente a rischio.

Il destino, però, stava per ridargli tutto ciò che gli aveva sottratto in questi ultimi anni in Italia. I mondiali in Corea e Giappone erano alle porte, Ronaldo – nonostante tutto – avrebbe indossato la sua amata “9″ e si sarebbe presentato al centro dell’attacco della Seleção affiancato da altri due extraterrestri come Ronaldinho e Rivaldo. Il Brasile vinse quel Mondiale e il fenomeno vinse la classifica cannonieri, complice anche la doppietta decisiva in finale contro la Germania.

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LA LITE CON CUPER, L’APPRODO AI GALACTICOS E IL RITORNO IN ITALIA.

Brazilian striker Ronaldo poses with his new jersey of Real Madrid, 02 September 2002, during the official presentation of the World Cup 2002 top scorer as new signing of the Spanish Primera Division giant. ANSA/SERGIO BARRENECHEA/

Tornato in Italia, il suo futuro all’Inter era più che mai compromesso. Un aut-aut con l’allenatore Cuper e la risposta fu servita dopo estenuanti trattative durate quasi tutto il mese di agosto: il Real Madrid sarebbe stata la nuova squadra di Ronaldo. Quasi 45 milioni di euro versati nelle casse di Moratti e la Spagna nuovamente ad accoglierlo. Un altro pallone d’oro e trofei a bizzeffe, compreso il secondo titolo di pichichi della sua storia nel 2004. Il suo passato più recente lo conosciamo un po’ tutti, ivi compreso il suo ritorno a Milano nel 2007, sponda rossonera, e quell’esultanza dopo un gol nel derby mai digerita da tutti coloro che – fino a qualche anno prima – lo avevano coccolato come un figlio. Prima del suo ritorno in Brasile, dove avrebbe chiuso la carriera, ecco arrivare, come una sentenza, l’ennesimo grave infortunio. Il 13 febbraio 2008 è ancora il tendine rotuleo a fare crac, stavolta quello del ginocchio sinistro.

LA FINE DELLA CARRIERA: IL RITORNO IN BRASILE E L’ADDIO AL CALCIO.

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Il 14 febbraio 2011, proprio nel giorno in cui si celebra San Valentino, Ronaldo annuncia la fine del suo rapporto d’amore – e alle volte odio – con il calcio giocato. In lacrime, come un bambino al quale il destino beffardo e un comportamento poco consono all’attività sportiva hanno sottratto la voglia di divertirsi. L’ipotiroidismo, mai potuto curare in modo adeguato in quanto i farmaci utili erano considerati sostanze dopanti, lo aveva sconfitto. Il suo peso non era più adatto a continuare l’attività agonistica. Un colpo al cuore per tutti i tifosi: il fenomeno aveva detto stop. Una vita sempre al limite, per quel giocatore che – prima di Ronaldinho, Messi, Cristiano Ronaldo e tanti altri – ha segnato l’inizio di un’epoca. Il calciatore icona della pubblicità, la cui esultanza lo paragonò addirittura al Cristo Redentore di Rio de Janeiro. Tutto questo, e molto altro, era Ronaldo. Quello vero. Il Fenomeno.

Fabrizio Famulari

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