Che fine ha fatto…Carlo Mazzone, il “Romanaccio di provincia”

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In molti hanno, in passato, avuto un’opinione su Carlo Mazzone. Positiva o negativa, ma una cosa è certa: difficile che sia rimasto indifferente a qualcuno. In effetti, egli detiene ad oggi il record di panchine in Serie A, con 795 partite. 1.278 sono invece le panchine ufficiali, per ben quarant’anni di carriera.

Emblema della romanità e del calcio “verace”, “sor Carlè” (come veniva soprannominato a Roma), era un mediano, di quelli tosti, che nella squadra della sua città e del suo cuore (la Roma) giocò solo due partite, per poi avere delle “apparizioni lampo” alla SPAL ed al Siena, prima di passare all’Ascoli, squadra in cui giocherà tutta la sua carriera indossando la fascia di capitano.

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Gli inizi da allenatore – Nel 1968 l’allora presidente dell’Ascoli Costantino Rozzi affidò la squadra a Mazzone in modo temporaneo per due volte consecutive, in sostituzione dei due allenatori che allora si succedettero (Malavasi e Capello). Nel campionato seguente, nella penultima giornata di andata, sostituì fino al termine della stagione l’allenatore Eliani; portò la squadra per la prima volta nella sua storia in testa al campionato sfiorando la promozione. Egli, ormai già simbolo della città, rimase sino al 1975, dopo aver portato i marchigiani fino alla Serie A. Dopodichè andò alla Fiorentina, dove rimase per tre anni, vincendo la Coppa di Lega Italo-Inglese (unico suo trofeo della storia). Nel 1979 passò al neopromosso Catanzaro, dove conquistò due salvezze consecutive.

Nel 1980 tornò per cinque anni ad Ascoli, suo primo amore, per conquistare altrettante salvezze (e un sesto posto storico).

Successivamente passò al Bologna, dove non raggiunse l’obiettivo promozione per poco. Stesso risultato al Lecce, dove subentrò a dieci giornate dal termine. Al Lecce, comunque, la promozione arrivò l’anno seguente, con poi due salvezze nei due anni successivi.

Nel 1991 Mazzone si trasferì a Cagliari, dopo una breve parentesi al Pescara l’anno precedente. Lì non esitò a imporsi anche con i propri giocatori, arrivando anche a “schiaffeggiare” giocatori rei di non ascoltarlo. Nel 1993 conquistò un sesto posto che valse ai sardi la qualificazione alla Coppa UEFA dopo 21 anni. Tale traguardo, gli valse la chiamata dalla sua squadra del cuore, la Roma.

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Il ritorno a casa, la Roma – Le eccellenti prestazioni di Mazzone non passarono inosservate, tuttavia, salvo la parentesi con la Fiorentina, l’esperienza vantava allora solo salvezze o traguardi storici per “piccole” società. La Roma, sua squadra del cuore, decise allora di dargli la possibilità di esprimersi in un grande palcoscenico, e i tifosi non impiegarono molto ad amare un loro conterraneo con una gran “tigna”. Nei tre anni all’Olimpico Mazzone raggiunse due settimi e un quinto posto, ma ebbe il merito di fare una cosa che un certo Carlos Bianchi non voleva fare: far esordire e dare fiducia ad un giovane romano dal nome Francesco Totti.

Di nuovo a salvare la provincia – Nel 1996 tornò a Cagliari dove, subentrato a Perez dopo poche giornate, non riuscì ad evitare la retrocessione, la prima della sua carriera da allenatore. L’anno seguente provò l’esperienza Napoli, dove però si dimise dopo solo quattro giornate di campionato. Nel 1998, comunque, tornò al Bologna di Giuseppe Signori, dove raggiunse le semifinali di Coppa Italia e di Coppa UEFA. Successivamente, a Perugia, fu uno dei pochi allenatori che potè vantare di aver allenato per un anno intero “resistendo” all’esuberanza del patron Luciano Gaucci.

Nel 2000 passò al Brescia, dove convinse un certo Roberto Baggio a seguirlo (infatti vi fu una clausola che avrebbe ufficialmente liberato il Divin Codino qualora Mazzone avesse lasciato la società).

Famoso quello che disse invece a Guardiola, una volta arrivato a Brescia: “ahò, ascoltame bene: qua non ti ho mica chiesto io, nel tuo ruolo c’è già Giunti!“, a cui il centrocampista catalano rispose di voler solo essere allenato, e poi sarebbe stato il mister a decidere. Egli ebbe il merito di saper parlare alla coriacea dirigenza bresciana, convincendola a costruire una squadra di tutto rispetto, che per ben due volte arrivò in Intertoto (eliminati prima dal Paris Saint Germain e poi dal Villareal). Nel capoluogo lombardo, ebbe anche il merito di assegnare per la prima volta il ruolo di regista arretrato ad Andrea Pirlo, che diventerà poi uno dei migliori al mondo sotto la guida di Ancelotti.

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Celebre, nel 2001, la corsa di Mazzone sotto la curva dei tifosi dell’Atalanta dopo il pareggio per 3-3 firmato da Baggio. Una corsa che sollevò allora un vero e proprio putiferio, con tutti i tifosi bergamaschi indignati, accusando il tecnico romano di non essere professionale. Persino il sindaco di Bergamo richiese le sue scuse, che non arriveranno mai, affermando che ci sono cose che nel calcio non si possono accettare. Definì i bergamaschi come “razzisti al 100%“, sottolineando come fossero stati offesi la sua città e i suoi genitori defunti.

Dopo essere tornato per la terza volta al Bologna nel 2004/05, l’anno successivo allenò la sua ultima squadra, il Livorno, con cui superò il record di panchine in Serie A di Nereo Rocco e arrivò sesto.

La squadra toscana fu l’ultima allenata dal tecnico romano, il quale si ritirò all’età di 70 anni.

Ad oggi Mazzone vive ad Ascoli Piceno, nella città che gli ha permesso di iniziare la sua carriera da allenatore. Il suo credo calcistico influenza ancora molti nuovi allenatori, in particolare i suoi ex giocatori. Infatti, nel 2009, in occasione della finale di Champions League, ricevette un biglietto da Guardiola, allora allenatore del Barcellona, il quale dedicò la vittoria a Paolo Maldini e al suo “maestro e mentore”, Carlo Mazzone.

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2 Risposte a “Che fine ha fatto…Carlo Mazzone, il “Romanaccio di provincia””

    1. Vero: grazie per la segnalazione. A quanto ne so io, è molto spesso a Roma, dove tutt’ora ha una casa…O almeno, mi pare!

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