Football Stories: Kakà, il predestinato

“Personalmente, io uno con quel nome non lo prenderei”. Queste sono state le parole di Luciano Moggi, al tempo dirigente della Juventus, riguardo il possibile acquisto, da parte del Milan, del protagonista della nostra storia. Raramente “Lucianone” si sbagliava, eppure questa volta l’errore è stato macroscopico: il giocatore in questione trascinerà il Milan sul tetto d’Italia e d’Europa, vincerà un Pallone d’Oro strameritato e delizierà il mondo intero con le sue progressioni e la sua eleganza. Si chiama Ricardo Izecson dos Santos Leite, ma per tutti è Kakà.

I PRIMI CALCI IN BRASILE: Nasce a Gama, in Brasile, il 22 aprile del 1982. Diversamente da molti suoi conterranei, non ha origini povere: suo padre è un ingegnere civile e sua madre è una professoressa di matematica. È sempre stato un uomo di Dio, lontano dai vizi che possono attanagliare la vita di una star e amante dei valori classici come la famiglia. Casa e chiesa, come si dice, solo che lui ci aggiunge anche il pallone. La prima squadra a interessarsi a lui è proprio il San Paolo, compagine di enorme tradizione in Brasile. Fin da subito, il lavoro svolto sul calciatore è di natura atletica: Kakà è molto fragile fisicamente e questo può creargli notevoli difficoltà a esprimere l’enorme talento di cui è dotato. Debutta in prima squadra nel gennaio del 2001, a 18 anni, e nel marzo dello stesso anno segna una doppietta al Botafogo che permette alla sua squadra di vincere – per la prima volta – il torneo Rio-San Paolo. Nello stesso anno, disputa anche il  torneo Paulista, nel quale realizza 12 gol piazzandosi in seconda posizione nella classifica cannonieri. Nel 2003 termina la sua carriera in Brasile, la sua destinazione è l’Europa e la squadra che lo abbraccia ha fatto dell’Europa la sua terra di conquista: è il Milan.

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L’ALIENO FA IMPAZZIRE SAN SIRO: Siamo nel 2003, quando Leonardo (al tempo grande osservatore per il Milan) lo scopre e lo segnala alla dirigenza rossonera. I milioni versati nelle casse del San Paolo sono poco più di 8 e Kakà è pronto ad accasarsi a Milano. Che il brasiliano sia destinato a fare la storia del club si capisce subito: il suo primo gol lo segna proprio nel derby cittadino, il 5 ottobre dello stesso anno, spianando la strada al successo dei rossoneri. Al termine della stagione, il Milan vincerà lo scudetto e il talento carioca si consacrerà come uno dei giocatori più forti dell’intero panorama italiano. La stagione successiva sarà amara per i colori rossoneri: la disgraziata finale di Istanbul rappresenta una delle ferite più difficili da rimarginare, ma capitan Maldini promette che in quella finale loro ci torneranno e ne capovolgeranno gli esiti. E ha ragione. L’anno è il 2007 e Kakà è assoluto protagonista della Champions. Prima agli ottavi, dove – durante i supplementari – prende palla a centrocampo e, con una di quelle progressioni palla al piede che sono il suo marchio di fabbrica, salta l’intera difesa del Celtic e deposita in porta. Poi ai quarti, all’andata contro il Bayern Monaco, segnando il rigore del momentaneo 2-1. Infine in semifinale, dove – probabilmente – mette l’ipoteca definitiva sul Pallone d’Oro. Davanti c’è il grande Manchester United di Rooney e Cristiano Ronaldo, ma il vero fenomeno porta la maglia numero 22 e gioca con gli altri. Si gioca a Old Trafford, il “teatro dei sogni”, ma ai tifosi dei “Red Devils” il brasiliano farà vivere un vero e proprio incubo. All’andata segna due gol splendidi, specialmente il secondo: palla portata avanti di testa che mette fuori gioco contemporaneamente Heinze ed Evra e piatto destro a bucare van der Sar. Il risultato finale premierà gli uomini di Ferguson (3-2 il finale), ma tutti hanno capito che il ritorno a San Siro sarà tutta un’altra storia, soprattutto dopo aver visto l’alieno far letteralmente impazzire da solo l’intera linea difensiva inglese. La profezia è corretta, perché il Milan a San Siro giocherà una delle sue partite più belle. Da molti è stata definita addirittura la “partita perfetta”: 3-0, tra i marcatori anche Kakà. La promessa di Maldini è stata esaudita: è ancora finale, ed è ancora Milan-Liverpool. Questa partita è diametralmente opposta rispetto alla precedente finale: i rossoneri giocano molto peggio, ma quando gli dei del calcio ti sorridono c’è poco da fare. Una punizione di Pirlo viene intercettata da Inzaghi che passa in mezzo e la mette in porta, mentre nel secondo tempo – con Gilardino pronto a subentrare a Superpippo – è ancora Inzaghi a timbrare sull’assist meraviglioso di Kakà. 

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NON SI VENDE KAKÀ“: Gennaio 2009, alla cortese attenzione dell’A.C. Milan ecco recapitata un’offerta faraonica per privarsi del suo gioiello brasiliano. La cifra si aggira attorno ai 100 milioni di euro e, ça va sans dire, nei pressi di Via Turati la cosa non passa inosservata. Non appena trapela la notizia, i tifosi reagiscono come raramente si è visto nel mondo del calcio: autentici sit-in sotto la sede milanista e vere e proprie rivolte. Kakà rifiuta il passaggio ai Citizens, ma il suo addio è ancora una minaccia. Minaccia che si concretizzerà alla fine della stagione, quando il fenomeno verdeoro si trasferirà al Real Madrid per una cifra intorno ai 64.5 milioni. Kakà abbandona Milanello in lacrime, giurando amore eterno ai colori rossoneri e promettendo che, in futuro, sarebbe tornato.

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L’ESPERIENZA AL REAL E IL RITORNO A CASA: Il soggiorno a Madrid non va come sperato. Kakà approda ai blancos durante la campagna acquisti faraonica che ha caratterizzato il ritorno di Florentino Perez ai vertici della squadra della capitale. Cristiano Ronaldo, Raul Albiol, Karim Benzema, tutti grandi nomi, ma il Barcellona delle meraviglie di Guardiola non ha lasciato nemmeno le briciole. Con l’arrivo di José Mourinho, subentrato a Manuel Pellegrini, il Real Madrid vince la Liga nella stagione 2011-2012, ma Kakà colleziona in totale solo 29 presenze e 5 gol. Una pubalgia, definita “cronica” a posteriori, impedirà allo stesso di esprimersi al meglio. Nella sessione estiva di mercato, nel 2013, con Carlo Ancelotti (suo grande mentore ai tempi del Milan) sulla panchina delle merengues, il Milan tenta di riportarlo a casa. Come spesso accade, Galliani prende un aereo e conclude l’affare: è fatta, Kakà è di nuovo un giocatore rossonero. L’amore è di nuovo sbocciato, ma il giocatore non è più quello che aveva deliziato San Siro fino al 2009. In una stagione avara di gioie per il club, Kakà riesce a segnare il 100° gol in maglia rossonera, il 6 gennaio 2014 contro l’Atalanta. Il brasiliano riuscirà anche a indossare la fascia di capitano, cosa che farà anche il 29 marzo dello stesso anno, quando toccherà quota 300 partite giocate con addosso la sua adorata maglia numero “22”. Al termine della stagione, le strade si dividono nuovamente – e stavolta definitivamente – perché Kakà decide di concludere la carriera in America, all’Orlando City. Con il suo amato Milan ha vinto  2 Supercoppe Europee, 1 Scudetto, 1 Supercoppa Italiana, 1 Champions League, 1 Mondiale per Club, 1 Pallone d’Oro e 1 FIFA World Player.

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Prima di raggiungere gli Stati Uniti la breve tappa in Brasile, dove torna per sei mesi in prestito alla sua prima squadra, il San Paolo, in attesa che inizi la stagione americana. Con l’Orlando City debutta nel Marzo 2015 e, in tre anni e mezzo, mette insieme 79 presenze e 26 gol, annunciando il termine della sua avventura americana nell’Ottobre 2017, per poi appendere le scarpette al chiodo due mesi più tardi, annunciando il ritiro dal calcio giocato.

Un talento straordinario, del quale resteranno negli occhi le falcate palla al piede con le quali faceva letteralmente a pezzi le difese avversarie, Carlo Ancelotti dirà di lui che “sembrava uno studente in Erasmus passato per caso da Milanello, ma appena toccava palla ti faceva restare a bocca aperta”.

E pensare che ha rischiato di non poter giocare mai più a calcio, quando nell’ottobre del 2000 un violentissimo urto sul fondo di una piscina gli ha causato la rottura della sesta vertebra. Per sempre, ammetterà che è stato Dio ad aiutarlo ed è questo il motivo per cui, a ogni gol, alza le mani e rivolge lo sguardo verso il cielo. Se si crede all’esistenza di una divinità, allora non è l’unico a doverla ringraziare, perché uno sfortunato evento ci avrebbe impedito di ammirare uno dei talenti più puri che il calcio mondiale abbia mai sfornato dalla sua immensa fucina. Alla fine di questo percorso, l’unica domanda che rimane da porci è: “chissà se Luciano Moggi ride ancora per il cognome?

 

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