Football Stories: Zlatan Ibrahimović

“Sai, si dice che si diventi una leggenda nel momento in cui si passa a miglior vita. Ma nel mio caso sono una leggenda vivente.” La frase in questione, pronunciata dal protagonista di questa storia, descrive appieno il suo stile di vita. E insieme a essa, anche un tatuaggio, uno dei tanti che porta sulla pelle: “Only God can judge me” (solo Dio mi può giudicare). Come se non bastasse, in campo continua a dimostrare che è uno dei calciatori più forti del mondo. Secondo molti, addirittura il più forte. Stiamo parlando di sua maestà Zlatan Ibrahimović.

GLI ESORDI IN SVEZIA E L’APPRODO ALL’AJAX: Zlatan nasce a Malmö, in Svezia, il 3 ottobre del 1981. La sua è una famiglia di immigrati: il padre è bosniaco e sua madre è croata. Inizia a giocare per strada, come molti altri campioni, nel quartiere di Rosengård. All’età di 10 anni, viene tesserato nel Balkan, nella categoria che comprende ragazzi di due anni più grandi di lui: fin da subito il piccolo Zlatan vuole misurarsi con i migliori, così come sarà per tutto il resto della sua carriera. La prima, vera squadra che si affaccia per accaparrarsi i servigi del ragazzino è il Malmö FF, squadra della sua città, che lo tessera all’età di 13 anni. La differenza, ovviamente, la fa anche lì e nel dicembre del 2000 si fa avanti Arsene Wenger, al tempo già allenatore dell’Arsenal. “Zlatan, ti abbiamo notato e vorremmo farti fare un provino da noi, ci stai?“. La risposta che Ibra dà all’allenatore francese è lapidaria: “Zlatan non fa provini”. Un qualsiasi ragazzino, a 19 anni, avrebbe accettato senza pensarci mezza volta, ma lui no, lui è diverso. E ha ragione, sempre. La squadra che alla fine la spunterà sarà l’Ajax: niente provini, il ragazzo è già pronto, può giocare subito. Lo sa lui prima di tutto, che alla domanda di un giornalista su come si sarebbe presentato il primo giorno di ritiro risponde: «Io sono Zlatan e voi chi diavolo siete?» . Eccome se è pronto: dopo aver esordito in nazionale U-21 nel 2001, si rende protagonista della vittoria dell’Eredivisie l’anno dopo.

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A SCUOLA DA CAPELLO E VAN BASTEN: L’anno decisivo per la carriera di Ibra è il 2004. Dopo il gol pazzesco rifilatoci agli Europei in Grecia, Zlatan è pronto al grande salto: l’Olanda gli inizia a stare stretta, l’aereo per l’Italia sta per decollare. Un allenatore, in particolare, è innamorato di lui. Si tratta di Fabio Capello, che prima di approdare sulla panchina della Juventus lo aveva chiesto alla Roma. Il DG bianconero Luciano Moggi lo accontenta e Zlatan viene acquistato per 19 milioni di euro. Don Fabio ha ragione a stravedere per lui, e si accorge immediatamente di un’impressionante somiglianza tecnica e atletica: quella con Marco Van Basten, il cigno di Utrecht. Decide così di fargli vedere i video dell’olandese, fino a quando lo svedese non capisce e ingloba alla perfezione nel proprio bagaglio tecnico i suoi movimenti. Questa cosa Zlatan la ricorderà sempre, definendo Capello l’allenatore più importante della sua carriera. Inizia a segnare fin da subito, alla prima giornata contro il Brescia. Al termine della stagione, che culminerà con lo scudetto, Ibra mette a segno 16 gol in 46 partite. L’anno successivo va meno bene: segna solamente 10 gol in 40 partite, anche se la Juventus riesce a laurearsi nuovamente campione d’Italia. Alle porte, però, c’è un uragano pronto a travolgere, e sconvolgere, il football italiano. Calciopoli priverà la Juventus dei due scudetti vinti e della Serie A. Per Zlatan è il momento di cambiare, ancora una volta.

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DA MILANO A MILANO, PASSANDO PER BARCELLONA: la nuova squadra che lo accoglie non è una qualsiasi: insieme a Patrick Vieira, Ibra passa dalla Juventus agli odiati rivali dell’Inter. Uno smacco che difficilmente i tifosi bianconeri potranno dimenticare, ma che porterà il campione svedese a vincere ancora tre scudetti. Sempre da protagonista. Soprattutto quello del 2008, quando i nerazzurri vincono la partita finale contro il Parma grazie a una sua doppietta, nonostante non fosse al meglio e subentrasse dalla panchina. L’anno dopo vince il trofeo di capocannoniere e conquista ancora una volta lo scudetto in nerazzurro. L’ultimo. Perché prima dell’inizio della stagione 2009/2010 arriva il famoso “mal di pancia”, quello che spingerà Raiola – il suo procuratore – a imbastire uno dei trasferimenti più importanti della storia di questo sport. Il Barcellona lo acquista per 46 milioni più il cartellino di Samuel Eto’o, valutato circa 20 milioni di euro. Con i catalani, però, non va come previsto: l’allenatore Guardiola non lo vede di buon occhio, tant’è che, nella sua biografia, Ibra scriverà di un conflitto perenne con l’allenatore spagnolo che lo porterà, alla fine, a non rivolgergli più la parola. “Se prendi me, compri una Ferrari. Se guidi una Ferrari, devi metterci la benzina migliore, poi prendi l’autostrada e affondi il gas. Guardiola invece in questa macchina ha messo del diesel e l’ha usata per un giretto in campagna. Avrebbe dovuto comprare una Fiat”. Lo stesso anno il Barcellona vincerà la Liga, ma in Champions League verrà eliminata in semifinale proprio dalla sua ex squadra, l’Inter. Da MIlano a Milano, come detto, perché dopo una sola stagione in blaugrana i continui screzi con Pep Guardiola lo portano a essere ceduto nuovamente, stavolta per accasarsi nell’altra sponda del Naviglio. Con il Milan, guidato da Massimiliano Allegri, riesce a vincere un altro scudetto, ma la stagione successiva arriverà secondo a favore della Juventus. Avvenimento unico, per uno che – ogni anno – ha sempre vinto lo scudetto ovunque abbia giocato.

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SOTTO LA TOUR EIFFEL: Nell’estate del 2012, Ibra cambia ancora, stavolta per approdare al Paris Saint-Germain. Anche in questo contesto, non si esime dal lesinare le sue perle di saggezza: “È vero, non so molto dei calciatori di questo campionato, ma sono sicuro che loro sanno molto di me”, e ancora, quando un giornalista gli chiede se abbia già trovato dimora in quel di Parigi: “Io e la mia famiglia stiamo cercando un appartamento a Parigi. Se non riusciremo a trovare nulla, probabilmente compreremo l’hotel”. Con i francesi, ovviamente, continua a vincere: 3 campionati, 3 supercoppe e una coppa nazionale. E gol a grappoli, uno più bello dell’altro. Uno su tutti, quello segnato in nazionale contro l’Inghilterra che lo ha portato a vincere il FIFA Puskás Award nel 2013: una rovesciata da fuori area, che solo a pensarla verrebbe il mal di testa a moltissimi giocatori dei maggiori campionati europei.

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L’unica pecca rimane sempre la Champions League, competizione che il fenomeno svedese non è mai riuscito a vincere. Sebbene pubblicamente non ne abbia mai fatto un dramma, così come per la mancanza del pallone d’Oro: “non ho bisogno di vincerlo, so già che sono il migliore del mondo”. A 34 anni non ha ancora intenzione di fermarsi, pronto a stupire ancora con i suoi gol e le sue giocate al limite della fantascienza. Con i club e con la nazionale, quest’ultima letteralmente trascinata per mano a qualificarsi per gli Europei in Francia con 3 gol nelle due partite di spareggio contro la Danimarca. Gli ultimi mondiali non è riuscito a giocarli, ma davanti ai giornalisti è riuscito comunque a uscirne vincitore: “una Coppa del mondo senza di me è una coppa in cui non c’è niente da guardare, quindi non vale la pena aspettare per vederla”. Lui è così, dentro e fuori dal campo. Rispetta ma pretende rispetto. I giornalisti non gli sono mai andati a genio, così come tutti coloro che lo giudicano. Perché solo Dio può giudicarlo, anche se – stando alle sue parole – è molto probabile che Dio…sia lui.

 

 

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