Gaetano Scirea: quando la nobiltà incontra il calcio

Sono passati 25 anni da quel tragico 3 settembre 1989, giorno in cui Gaetano Scirea ci lasciò a causa di un terribile incidente stradale. Si trovava in Polonia per osservare il prossimo avversario europeo della sua Juventus, il Gornik Zabrze. Al tempo ricopriva il ruolo di allenatore in seconda di Dino Zoff, un altro personaggio a cui il calcio – soprattutto quello italiano – deve molto, moltissimo.

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Avevo solo 3 anni quando è successo, non sapevo nemmeno cosa fosse il calcio, eppure dopo tutti questi anni si continua a ricordare quest’uomo. Sì, perchè prima di essere calciatore, “Gai” era un grande uomo. Il motivo è ben presto spiegato: dentro e fuori dal campo si è sempre distinto per la sua signorilità e per la sua correttezza. Mai una parola fuori posto, addirittura mai un cartellino rosso e mai una squalifica durante la sua intera carriera.

 

Molti lo ricordano, a ragione, per il suo ruolo durante i Mondiali in Spagna nel 1982, durante i quali il clima che si respirava intorno alla nazionale di Bearzot non era propriamente idilliaco. Lui e Zoff, quelli apparentemente più silenziosi e introversi, riuscirono a prendere per mano lo spogliatoio e a guidare la nazionale sul tetto del mondo. Non con urla o ordini: bastava un loro sguardo a far trapelare tranquillità e serenità. Dei comandanti silenziosi, questo erano. Scirea giocò in modo eccezionale ogni singola partita della competizione, culminata con l’assist per il famoso 2-0 di Tardelli nella finale contro la Germania Ovest.

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Nel calcio di oggi, governato da star e milioni, un uomo come lui avrebbe sicuramente fatto la differenza. In un’epoca in cui giocatori mediocri hanno valutazione astronomiche, lui non avrebbe prezzo.

Gaetano Scirea, la dimostrazione che la nobiltà non è un titolo, ma un modo di vivere…e di giocare a calcio.

Ciao Campione.

Fabrizio Famulari.

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