Ryan Giggs: “Indossare la maglia dello United era per me ogni volta un premio, un sogno farlo dai 17 fino ai 38 anni”

Una vita con la stessa maglia, non una maglia qualunque, ma quella del Manchester United di Sir Alex Ferguson, una delle squadre più vincenti, temute e rispettate della storia recente del calcio. Una bacheca colma di trofei, ben 37, che ne fanno tutt’oggi il calciatore più vincente della storia del calcio inglese, divenuto tale grazie alle sue quasi mille presenze in Red Devils (963) condite da 169 marcature. Tutto questo è Ryan Giggs, mitico numero 11 dello United di Ferguson, che ripercorre così la sua carriera, i suoi trionfi, partendo dal suo esordio in prima squadra fino al rapporto con Ferguson:

“Se tifi per una squadra e poi inizi a giocarci, è speciale.
A 8-9 anni andavo allo stadio per tifare la mia squadra e poi, dopo altri 7-8 anni, mi sono ritrovato su quel campo.
È stato un passaggio piuttosto veloce, dalle giovanili alla prima squadra: nella mia posizione c’era un buon giocatore, Denis Irwin, giocava nell’Inghilterra ed era il più giovane nel suo ruolo.
Non avevo davvero mai pensato di far parte della prima squadra, credevo di non avere nessuna possibilità di giocare. Lui però si fece male e io ho avuto la fortuna di sostituirlo.
Ho colto la mia occasione e sono rimasto in squadra per il resto della stagione.
Il mister mi ha scelto con molto rispetto, nonostante i miei 17 anni.
Mi ha fatto debuttare dandomi una possibilità e dicendomi che era mia responsabilità coglierla.
Sono cresciuto nell’atmosfera dell’Old Trafford dove ho giocato 30, 40, 50 volte e per me ogni volta era un premio.
Al di là della pressione che noi giocatori potessimo ricevere dall’esterno.
Quando uscivo dal tunnel mi concentravo e pensavo: Ok, ci siamo. È il momento. Adesso si fa sul serio.
I primi tempi ero a metà della fila e la maggior parte della mia squadra arrivava tesa alla fine del tunnel, quando si usciva dal tunnel sentivi tutto lo stress, la pressione, l’atmosfera… era un’emozione speciale.
Ferguson a volte è stato duro, Gli standard erano alti.
E anche se avevi appena vinto un trofeo, lui guardava subito a quello dopo e a come vincerlo.
È stato un grande maestro, un padre sia dentro che fuori dal campo di gioco.
Mi conosce da quando avevo 13 anni, ha tirato fuori il meglio di me. Credeva nei giovani ed è stata una fortuna sia per me che per gli altri calciatori delle giovanili, perché mi ha allenato sia quando avevo 17 anni, ma anche quando ne avevo 38.
Gli sono davvero grato per questo.
Chissà, magari se avessi cambiato allenatore dopo 10 anni la mia carriera sarebbe andata diversamente”.

RYAN GIGGS

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