“Quell’errore in finale contro il Barça è stato il punto più basso della mia carriera, un peso che mi sono portato dentro per diverso tempo, un errore, seppur non macroscopico e non causa diretta del gol, di cui non mi sono mai capacitato e che mi ha completamente distrutto.
Mi ero battuto tanto per raggiungere quell’obiettivo, ma dopo quell’errore mi sono chiesto più volte come fosse stato possibile ed è stato questo a farmi cadere in depressione per due anni.
Avevo vinto la Champions l’anno prima ed il Mondiale per club a dicembre, ma era assolutamente irrilevante in quel momento.
Il calciatore è visto come una macchina che ottiene risultati, gara dopo gara, perché viene pagato bene e deve giocare bene ogni match per il club.
Ma non è così, non è facile dimenticare.
Dopo la finale sono tornato a casa, non ho parlato con nessuno della partita.
Guardavo mia figlia Louise giocare, ma la mia testa era a chilometri di distanza, ancora a Roma.
Quella sera ho lasciato Roma, ma lei non mi ha abbandonato per diversi anni.
Diversi compagni di squadra hanno provato a chiamarmi in quei giorni, ma non ho voluto parlare con nessuno, neanche con Ferguson: il dolore era troppo forte”.
MICHEAL CARRICK