La maledizione di Béla Guttman, il vincente maledetto

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Una storia travagliata – Nel 1899, nell’Ungheria appartenente all’Impero Austro-Ungarico, nacque Béla Guttman, un uomo sicuro di sè e spesso arrogante, ma vincente. Di famiglia ebrea, i suoi inizi da calciatore lo portarono a cercare di farsi una carriera negli USA, dove gli esigui guadagni gli imposero comunque di lavorare. Nel 1929 perse molti soldi nel crollo di Wall Street, e in Europa vi tornò nel periodo peggiore: sopravvisse ad un campo di concentramento, contrariamente al fratello, e si limitò a riguardo a commentare sempre allo stesso modo: “Dio mi ha aiutato“.

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Guttman al centro, vicino alla bandiera


La vita nel calcio – Giocò solo 4 partite con la Nazionale ungherese (segnando un goal), mentre dopo aver esordito in Ungheria e Austria giocò soprattutto in America. Ma è da allenatore che si fece un nome, dando un’impronta tattica fino ad allora poco utilizzata, il 4-2-4, che tanto valorizzò uno dei suoi allievi più illustri, Eusebio.

Diverse le squadre allenate, e quasi sempre con una controversia: ai tempi del Milan venne licenziato nonostante fosse al primo posto, al Servette venne considerato un bugiardo per aver dichiarato di aver vinto il campionato italiano. La cosa più clamorosa, comunque, la fece in Portogallo, con il Benfica.

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Benfica, vittorie e maledizione – Piove? Fa freddo? Fa caldo? Che importa? Anche se la partita fosse durante la fine del Mondo, tra le nevi del monte o in mezzo alle fiamme dell’inferno, per terra, per mare o per aria, loro, i tifosi del Benfica, vanno lì, appresso alla loro squadra. Grande, incomparabile, straordinaria massa associativa!“. Queste le parole di Guttman ai tempi del Benfica, squadra che allenò dopo una breve parentesi al Porto. Dal 1959 al 1962 i portoghesi vinsero due scudetti, una Coppa del Portogallo e due Coppe dei Campioni. Ciò portò il carismatico allenatore a chiedere un aumento di stipendio, negato dai dirigenti portoghesi. Fu allora che il magiaro pronunciò le seguenti parole, prima di sbattere la porta alle sue spalle e lasciare la squadra: “Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà due volte campione d’Europa, ed il Benfica senza di me non vincerà mai una Coppa dei Campioni“.

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Un fondo di verità? – Da quel giorno, tante finali per i giocatori portoghesi, tutte perse. Tutte. I giornalisti iniziarono a mettere pressione sulla squadra, chiedendo cosa ne pensassero della maledizione, spesso screditata da tutti gli atleti. Eppure si cominciò subito con la Coppa Intercontinentale (finita al Santos), cui seguirono cinque Coppe dei Campioni (Milan 1963, Inter 1965, Manchester United 1968, Psv Eindhoven 1988, Milan 1990), una Coppa Uefa (Anderlecht 1983). Da sottolineare, poi, la stagione peggiore, quella del 2013, che portò alla disperazione i tifosi portoghesi e portò l’allenatore Jorge Jesus a cadere in lacrime in ginocchio preda della disperazione.

Nella stagione 2012-2013, infatti, il Benfica arrivò a perdere ben tre competizioni allo sprint finale.

L’11 Maggio, dopo essere stato in testa al campionato quasi tutto il girone di ritorno, il risultato nello scontro diretto con il Porto fu bloccato sul pareggio fino all’88’, fino al gol di Kelvin, un sorpasso che regalò ai dragoni lo scudetto.

Quattro giorni dopo, il 15 Maggio, fu la volta della finale di Europa League contro il Chelsea. Risultato inchiodato sull’1-1, nonostante gli sforzi dei calciatori lusitani, vogliosi di annullare la maledizione. Sembrano prospettarsi i supplementari, invece arriva il gol di Ivanovic, al 91′. Coppa in Inghilterra.

Passarono 11 giorni, e il 26 Maggio, fu la volta della Coppa del Portogallo, con la vittoria, ancora una volta in extremis, del Vitoria Guimaraes.

3 competizioni perse, tutte ad un passo dalla vittoria e tutte per un gol subito nel finale, una stagione horror per il Benfica, ad un passo da tutto e con un pugno di mosche in mano alla fine.

Le cose non vanno meglio l’anno dopo, quando i portoghesi ripartono alla rincorsa dell’Europa League, la cui finale si disputa a Torino. Sulla strada delle Aquile rosse, in semifinale, proprio la grande favorita del torneo, la Juventus di Antonio Conte, uscita ai gironi di Champions nell’inferno gelato di Istanbul e vogliosa di alzare un trofeo europeo davanti al proprio pubblico. Con grande sofferenza i portoghesi escono vittoriosi dalla doppia sfida, dopo il 2-1 di Lisbona a Torino la squadra di Jesus riesce a mantenere la gara inchiodata sullo 0-0. In finale a sorpresa l’avversaria è il Siviglia, in grado di superare il Valencia nei secondi finali della gara di ritorno. Allo Juventus Stadium però va in scena un copione già noto ai tifosi portoghesi, gara sullo 0-0, Benfica che sfiora il vantaggio, supplementari a reti bianche, rigori. Inutile precisare come sia andata a finire dal dischetto, con il Siviglia in trionfo nella prime delle due El consecutive vinte.

Insomma, più finali che vittorie, una maledizione così veritiera e finora non sfatata. I portoghesi possono però stare tranquilli, siamo ancora solo a metà strada…

 

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