Football Stories: Alessandro Del Piero, il cavaliere della sua Signora

Forse è cominciato tutto con quel tema alle elementari. Cosa farò da grande? Io volevo scrivere “il calciatore”, però mi sembrava troppo. Cosa avrebbe pensato la maestra? Così scrissi che mi sarebbe piaciuto diventare elettricista come papà“.

Da questo frammento, tratto dal suo libro “Giochiamo ancora”, c’è tutta l’essenza di Alessandro Del Piero: umiltà, ma anche risolutezza e consapevolezza dei propri mezzi. Senza dimenticare la figura del padre, fondamentale nel suo processo di crescita e ancora oggi sempre presente nei suoi pensieri. Ma chi è Alessandro Del Piero? Sempre nel suo libro, lui si presenta così:
Mi chiamo Alessandro Del Piero e gioco a calcio. Tutti i miei sogni di bambino si sono avverati. Non credo che a un uomo possa toccare una sorte migliore“.

C’è molto altro, però. Andiamo con calma.

                                                                                           L’INFANZIA

Alessandro Del Piero nasce a Conegliano il 9 Novembre del 1974, con la passione del pallone nella testa. Quando gioca in cortile con gli amici, a poco a poco, col calare della sera, tutti iniziano a rincasare. Lui no. Lui rimane anche da solo, perché in realtà da solo non è mai: con lui c’è il suo inseparabile compagno, il pallone. La sua infanzia, a Saccon di San Vendemiano, è tutta qui. Una perenne rincorsa a migliorarsi, a voler dimostrare che anche il più piccolino, con costanza e determinazione, può diventare il migliore. Sì, perché quando gioca con gli amici, essendo il più piccolino, finisce sempre in porta, come insegna la dura vita di strada. Comincia ad allenarsi nel garage di casa, cercando di colpire l’interruttore con una pallina da tennis: il padre sposta fuori la sua 127 giallo-crema in modo da lasciargli più spazio a disposizione e le sue giornate volano così, tra cortile, garage e salotto, perché ogni posto è utile per perfezionarsi: due divani disposti ad angolo, una sedia come porta e una palla di spugna, e il divertimento non ha mai fine.

Screenshot 2015-10-15 19.35.50A dodici anni i suoi genitori lo accompagnano a un provino per il Torino, ma poi desistono: a parte la distanza, vogliono che prima finisca le scuole medie. L’anno seguente così, concluso tale percorso scolastico, comincia quello calcistico: il giovane Alessandro si allontana da casa per approdare nelle giovanili del Padova e quegli ottanta chilometri si sentono tutti.

L’ADOLESCENZA

Arriva il giorno della partenza: un bambino emotivo e timido, le lacrime di una madre, le mani del padre che lo accompagnano. A Padova, Alessandro finisce in una specie di collegio con delle camerate giganti. Il ragazzo ha il privilegio di una stanzetta tutta per sé ed è proprio lì dentro che nasce l’uomo che sarà, nella solitudine dei suoi sogni. Quella stanzetta, Del Piero, la ricorda ancora bene: lunga e stretta, con un armadio e una finestrella dalla quale per poter guardare fuori doveva mettersi in punta di piedi. Il futuro Pinturicchio (chiamato così dall’avvocato Agnelli in risposta al soprannome di Roberto Baggio, Raffaello, sempre dato da lui), comincia a fare i conti con le prime responsabilità: le giornate, fitte di impegni, prevedono sei ore di scuola, una fetta di crostata con spremuta d’arancia a pranzo, poi allenamento fino a sera, infine ritorno al collegio per la cena e i compiti. Arriva a sera stanco ma felice, ed è forse la parte della giornata che preferisce (oltre, ovviamente, a quando è a contatto col pallone), perché può dare sfogo alla sua immaginazione: sogna le vittorie future, la Coppa del Mondo, di essere riconosciuto per strada, di poter vivere di solo calcio, ma soprattutto sogna la maglia della Juventus. Quella maglia che sarebbe arrivata qualche anno dopo, chiamato dal presidente Boniperti.

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L’APPRODO ALLA JUVENTUS

Si arriva così all’estate del 1993. Dopo due anni in prima squadra nella formazione veneta nel campionato di Serie B, nonostante un magro bottino di 14 presenze e una rete, Giampiero Boniperti vede qualcosa in lui e la Vecchia Signora sborsa cinque miliardi delle vecchie lire per assicurarsi le prestazioni della giovane promessa: per lui primo contratto da professionista, con 150 milioni a stagione più premi a rendere. Nonostante Giovanni Trapattoni lo inserisca immediatamente in prima squadra, in seguito Del Piero verrà inserito nella Primavera guidata da Antonio Cuccureddu, con la quale vincerà il Torneo di Viareggio e lo scudetto di categoria. C’è comunque lo spazio per i primi ritagli nel campionato di Serie A e non solo: già a Settembre esordisce nella massima serie, contro il Foggia, e la settimana dopo arriva il primo gol contro la Reggiana. Pochi giorni prima, calpesta per la prima volta anche i campi di una competizione internazionale: debutta, infatti, nei trentaduesimi di Coppa UEFA contro il Lokomotiv Mosca. Tuttavia, dopo il primo anno sotto la Mole, la società pensa che il ragazzo debba farsi le ossa altrove. Il prestito al Parma è praticamente definito e Del Piero ha già incontrato anche il presidente Tanzi. Il club emiliano, però, vira improvvisamente su Dino Baggio e a mister Lippi va bene che il ragazzo rimanga in rosa come quarta punta: è l’inizio della storia.

L’INFORTUNIO
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8 Novembre 1998, proprio il giorno prima del suo compleanno: UdineseJuventus, pochi secondi alla fine. I campioni d’Italia in carica conducono per 2-1 e cercano di gestire il vantaggio. Zidane la passa di testa, Del Piero tenta la frustata ma viene toccato: il dolore fisico sentito in quell’istante non lo proverà mai più. Si rompono crociato anteriore e collaterale esterno, con interessamento del crociato posteriore: nelle prime due ore, a nulla valgono le iniezioni intramuscolari di Voltaren. La diagnosi non lascia adito a dubbi: nove mesi di stop e stagione finita. Come ammesso dallo stesso Del Piero, quest’evento è il giro di boa della sua carriera: ne nascerà un nuovo calciatore, ma soprattutto un nuovo uomo, meno sfrontato e “leggero”, perché la leggerezza appartiene ai giovani che non hanno ancora mai sofferto veramente. Si può fare tesoro anche di certe esperienze, per quanto dolorose e negative, ed è proprio quello che fa Alex. Il calciatore che si infortuna ha già vinto tutto con la casacca bianconera: scudetti, Coppa Italia, Supercoppa Italiana, Champions League, Supercoppa Europea e dulcis in fundo quella Coppa Intercontinentale vinta con un suo gol, che gli era valso anche la vincita di un’automobile in quanto risultato il migliore in campo. Il calciatore che si infortuna sta attraversando un periodo particolare della sua vita: il suo corpo e la sua mente hanno bisogno di una pausa, ma lui ancora non l’ha capito. Prima la sconfitta in finale contro il Real Madrid, dove si fa anche male; poi il mondiale francese e quelle prestazioni opache accompagnate dalla staffetta con Roberto Baggio in maglia azzurra, che richiama alla memoria quella storica tra Mazzola e Rivera; infine quei sospetti di doping nei confronti della Juventus. Col senno di poi, il numero 10 ha capito che quella lezione gli serviva: è stata una tappa fondamentale nel suo percorso di crescita, un viaggio nel quale non si può fare a meno del dolore fisico e psicologico. E il Del Piero nato dall’infortunio di Udine è, per sua stessa ammissione, migliore del precedente, nonostante il primo Del Piero avesse vinto tutto e si sentisse imbattibile e invulnerabile.

IL RITORNO IN CAMPO E LA MATURAZIONE

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Il ritorno non è affatto dei più semplici e nuove, difficili, sfide, mettono alla prova il nuovo Del Piero, l’uomo maturato. In campo calpesta nuovamente l’erbetta nella semifinale di ritorno di Intertoto contro il Rostov, siglando anche una rete e servendo un assist: sembra essere messo tutto alle spalle, ma non sarà affatto così. Dopo un infortunio del genere, può capitare di avere paura che ogni minimo contrasto possa farti tornare all’inferno e inconsciamente, allora, ritrai la gamba ed eviti il contatto. È esattamente quello accaduto a Pinturicchio, che proprio per la lunga attesa del suo ritorno non più fisico ma mentale, viene ribattezzato dall’avvocato AgnelliGodot“, riferendosi al romanzo di Samuel Beckett. Nella stagione 1999-2000 segna praticamente solo su rigore: ogni azione, anche la più semplice, sembra insormontabile, e solo su rigore la palla si insacca dentro la rete. Si sblocca soltanto alla penultima giornata, contro il Parma, nel modo in cui non ti aspetti: con un colpo di testa, non il numero migliore del suo repertorio. Con questa vittoria fondamentale sembra che la ruota sia finalmente girata e la Juventus si presenta a Perugia con ancora due punti di vantaggio sulla Lazio di Cragnotti. E invece dietro l’angolo sono pronti ancora due-tre cazzotti da k.o. L’acquitrino e il gol di Calori, l’Europeo perso di un soffio e quelle due occasioni sbagliate davanti alla porta, la morte del padre: la vita sa essere l’insegnante più dura che possa esistere e le sue lezioni non sono posticipabili, vanno solo imparate e accettate. Del Piero lo sa e si rialza nuovamente: è nella mente di tutti il suo capolavoro al San Nicola di Bari. La lunga ripresa pian piano si compie e Alex torna, seppur in modo diverso, il giocatore devastante di un tempo: il cinque Maggio, la semifinale col Real Madrid, la conquista della Coppa del Mondo, il titolo di capocannoniere, la standing ovation al Bernabeu.

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Del Piero è più forte di tutto e il suo amore per la maglia è più forte persino della Serie B, perché un cavaliere non abbandona mai la sua Signora.

L’ASSEGNO IN BIANCO E L’ADDIO ALLA JUVENTUS

Prima le panchine di Capello, poi quelle di Conte: ormai si avverte nell’aria che la storia d’amore col club di Torino è giunta al capolinea. L’anno prima, l’amore per i colori bianconeri aveva spinto Del Piero a una ennesima scelta coraggiosa: in un video pubblicato sul suo sito personale, giocando d’anticipo con la società, aveva dichiarato:

Ci tengo a sottolineare che il legame per la maglia e con i tifosi per me non è quantificabile. Ho firmato il mio primo contratto con la Juventus in bianco. Firmerò quello che sarà l’ultimo della mia carriera con questa maglia, in bianco“.

Qualche mese dopo, nell’Ottobre del 2011, sarà il presidente Andrea Agnelli in persona, durante un’assemblea con gli azionisti, a giocare d’anticipo, congedandolo. Del Piero ne prende atto e lascia la sua impronta nonostante il poco utilizzo: il gol “alla Del Piero”, il primo allo Juventus Stadium, nei quarti di finale di Coppa Italia contro la Roma e quello in semifinale contro il Milan; il primo gol in campionato contro l’Inter e quello che probabilmente è stato il gol scudetto, siglato su punizione contro la Lazio a pochi minuti dal termine. Timbra il cartellino anche nella sua ultima presenza con la maglia bianconera, contro l’Atalanta, in una partita a tratti surreale: quando l’allenatore Antonio Conte lo richiama in panchina per la standing ovation, tutto lo stadio inizia ad applaudire e piangere. Per dieci minuti Del Piero saluta tutti nel suo eterno giro di campo e nessuno nota più quei 22 calciatori rincorrere un pallone.

È la fine di una storia durata 19 anni. Quel timido ragazzino di San Vendemiano è diventato il capitano e il leader indiscusso di una delle squadre più forti e titolate al Mondo. Il suo palmarès, a fine carriera, sarà composto da sei campionati nazionali (più due revocati), una Coppa Italia, quattro Supercoppe Italiane, un campionato di Serie B, una Champions League (e altre tre finali perse), una Supercoppa Europea, una Coppa Intercontinentale e una Coppa Intertoto. Senza dimenticare, con la Nazionale, la vittoria del Mondiale. A livello personale si è fregiato di due titoli di capocannoniere: nel 2006-2007 nel campionato cadetto con 20 reti all’attivo e l’anno seguente in Serie A con 21 reti.

L’amore per il calcio non lo ha fermato e ha continuato a inseguire quel suo compagno per altri tre anni, prima in Australia e poi in India, per poi appendere le scarpette al chiodo. Per ora lavora a Sky come ospite fisso o telecronista, ma chissà che un giorno il cavaliere non possa ritrovare la sua Signora.

Fabrizio Calabrò

Fonti: Giochiamo Ancora, Alessandro Del Piero

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