Che fine ha fatto? Mauro Zárate: io, me e me stesso

 Zárate è un cognome che, prima del 2008, era già conosciuto a livello europeo e anche italiano. In effetti, gli appassionati di calcio si ricorderanno di Sergio Zárate, calciatore argentino che negli anni Novanta si è fatto conoscere in Bundesliga a suon di gol non avendo, però, la stessa fortuna nell’unica stagione disputata in Serie A con la maglia dell’Ancona (1992/1993), chiusa dal punto di vista personale con poche e non determinanti presenze e da quello calcistico con la retrocessione in B dei dorici.

El Ratón, questo è sempre stato il suo soprannome, attualmente è conosciuto in ambito calcistico in qualità di agente dei suoi tre fratelli anch’essi calciatori Rolando, Ariel e Mauro.

Quest’ultimo, in particolare, ha dimostrato fin dagli albori della sua carriera grandissime doti tecniche che lo hanno reso molto più famoso degli altri componenti della famiglia permettendogli di giocare in palcoscenici più importanti.

Mauro Matías Zárate, conosciuto più comunemente con il diminutivo di Maurito e anche con il soprannome di Zárate Kid affibbiatogli dai tifosi della Lazio, è nato nel 1987 ad Haedo, cittadina a due passi da Buenos Aires. Ultimo di cinque figli di una famiglia benestante composta da padre argentino e madre di origini calabresi trasferitasi da bambina nel Paese sudamericano, Mauro ha avuto da sempre il calcio nel sangue. Infatti, oltre ai suoi tre fratelli calciatori, anche suo nonno Juvenal, cileno di nascita, era un giocatore di calcio così come il padre di Maurito è stato un calciatore dell’Independiente, plurititolata squadra argentina.

Inevitabilmente, anche lui è diventato un professionista continuando la tradizione di famiglia.

zarate velezDotato di un fisico compatto (176 centimetri per 72 chilogrammi) che gli consente di avere un’ottima stabilità e resistenza nei contrasti anche duri in campo, Mauro Zárate è dotato di una spiccata inventiva che gli ha permesso talvolta nella sua carriera di impressionare gli spettatori con colpi da maestro geniali come pallonetti, punizioni magistrali o tiri da fuori area. E’ uno dei tanti argentini talentuosi cresciuti nel florido vivaio del Vélez Sarsfield, da dove hanno preso il volo campioni del passato del calibro di Carlos Bianchi, ricordato in Italia però in veste di allenatore della Roma a metà degli anni Novanta, o di José Luis Chilavert, portiere paraguaiano goleador considerato dall’IFFHS (un organo di statistica della FIFA) sesto miglior portiere della storia del calcio.

A conferma del fatto di trovarsi di fronte all’ennesimo talento cristallino uscito dalla cantera del Fortín, Maurito gioca spesso titolare in maglia biancoblu già a partire dall’età di 17 anni per poi diventare capocannoniere quando ne ha 19 alla fine del Torneo Apertura 2006 a pari merito con El Trencha Rodrigo Palacio.

L’estate dell’anno successivo iniziano a ballare cifre importanti per l’acquisto del suo cartellino: infatti, la squadra dell’Al Sadd, la più blasonata del pur modesto campionato qatariota, sborsa ben diciotto milioni di Euro che convincono il Vélez a lasciar partire il suo assistito verso le dune del deserto mediorientale.

Subito dopo il trasferimento, nel luglio dello stesso anno, il 2007, Zárate viene convocato dalla Nazionale giovanile Under 20 del suo Paese per partecipare ai Campionati Mondiali di categoria. Disputa un ottimo torneo nonostante nella stessa selezione si trovi davanti due futuri fuoriclasse come Di Maria e Agüero, trovando un discreto minutaggio e riuscendo a mettere a segno tra l’altro la rete decisiva che in finale permette di battere la tignosa Repubblica Ceca ammazza-Spagna di Martin Fenin.

Tornato in Qatar per intraprendere la sua prima stagione nella squadra dello sceicco Al Thani, parente dell’omonimo presidente del Paris Saint Germain, Zárate resiste pochi mesi prima di capire il livello tecnico mediocre del campionato e della società in cui gioca, scelta solo per meri motivi economici. Infatti, dopo soli sei mesi nel club dei petrodollari, accetta il prestito semestrale al Birmingham City in Premier League.

In Inghilterra non convince più di tanto gli addetti ai lavori facendo vedere solo a sprazzi le sue grandi doti balistiche e totalizzando solo quattro gol, che però a quanto pare hanno convinto pienamente la Lazio di Lotito a prenderlo in prestito oneroso dall’Al Sadd nell’estate del 2008.

zarateSono molte le aspettative dei media intorno al talento argentino, il quale nella prima stagione in Italia non delude minimamente le attese andando a segno per ben sedici volte considerando tutte le competizioni a cui prende parte. Diventa l’idolo della curva Nord laziale grazie al suo repertorio fatto di punizioni incredibili, bordate dalla lunga distanza spesso andate a buon fine e un’innata capacità nel saltare l’uomo in qualsiasi momento o situazione di gioco.

Qualità che lo hanno fatto avvicinare dai propri tifosi a leggende dell’Aquila biancoceleste come Beppe Signori e Bruno Giordano e che hanno indotto il patron Lotito a riscattarlo per quindici milioni di Euro, ancora oggi cifra più alta spesa durante gli anni della sua presidenza.

Ben presto, però, l’idolo dei tifosi diventa il primo colpevole nella stagione 2009/2010. La Lazio ha come allenatore Davide Ballardini, che porta la squadra in piena zona retrocessione e Zárate a non essere più quel leader tanto ammirato ed amato nell’annata precedente. Anche successivamente con Reja i rapporti furono sempre molto tesi e in aggiunta il calciatore mise in mostra le sue prime intemperanze venendo deferito per aver mostrato il saluto romano in una partita in cui era in tribuna per squalifica.

In generale, il rapporto con il tecnico friulano non è mai stato idilliaco tanto da finire spesso in tribuna anche in quelle occasioni in cui non era squalificato in seguito a risse o proteste in campo, fatti assolutamente non rari a partire dal secondo anno laziale.

imagesL’instabilità psicologica di Zárate costrinse la società biancoceleste a darlo in prestito all’Inter, dove il calciatore argentino continua la sua parabola discendente concludendo la stagione con la miseria di due gol e poche deludenti apparizioni. Moratti si vede costretto a restituire indietro il “pacco” nell’estate del 2012 rifiutandosi di pagare il prezzo del riscatto, ma, il giocatore, tornato nelle file laziali, viene messo fuori rosa nel giro di pochi mesi per aver rifiutato una convocazione per una partita di campionato.

E’ l’inizio della fine del suo rapporto con la Lazio che si deteriora sempre più quando lui accusa la società di Lotito per mobbing, mentre la dirigenza biancoceleste si scaglia contro di lui nel momento in cui il giocatore rescinde il contratto unilateralmente con un anno di anticipo sulla scadenza appellandosi ad un articolo della FIFA. La sentenza da parte della Corte Arbitrale ha successivamente condannato l’attaccante argentino al pagamento di una penale.

Dopo la bufera legale con la sua ex squadra italiana, Maurito ritorna in Argentina nella società che lo ha cresciuto, il Vélez, dove ritrova vena realizzativa e autostima tanto da meritarsi una nuova chiamata in Premier League da parte del West Ham.

images (1)Con gli Hammers l’argentino vede però il campo col contagocce, a parte una breve parentesi nella seconda parte della stagione 2014/2015 al QPR, ma, in terra d’Albione, non è mai riuscito a guadagnarsi un posto da titolare, tant’è che nello scorso mercato invernale la Fiorentina fiuta l’affare e prova a rilanciare il ragazzo, riportandolo in Italia in maglia viola.

Ventott’anni sembrano pochi soprattutto per i calciatori dei tempi moderni che hanno carriere molto più lunghe rispetto ai loro colleghi dei decenni passati, ma per Zárate sembrano essere tanti poiché l’impressione è che abbia già dato il meglio di sé; la Lazio, in particolare, poteva essere la sua chance per spiccare il volo verso squadre ancor più importanti, visti i suoi lampi di classe da gran giocatore che però ha avuto solo nel suo primo anno in Italia. Nel momento della riconferma nell’anno successivo non è stato in grado di soddisfare le enormi aspettative che legittimamente c’erano su di lui soprattutto per il suo egoismo nel modo di interpretare il gioco del calcio, motivo principale della sua autodistruzione come calciatore. Infatti, il suo principale limite è sempre stato quello di non assistere molto i propri compagni di squadra fidandosi, al contrario, più di se stesso e delle sue capacità tecniche, intestardendosi per questo in azioni personali risultate spesso velleitarie. L’individualismo sommato al carattere particolarmente irascibile e focoso in campo e fuori lo hanno portato fin’ora ad una carriera fatta di lampi di classe e tanti, forse troppi, cambi di maglia, rendendo meno rispetto al talento del quale è certamente dotato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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