Dalla malattia al futuro da allenatore, la storia a lieto fine di Andrea Orlandi

Andrea Orlandi, 34 anni, una carriera da girovago toccando anche vette importanti come Barcellona, spagnolo di chiare origini italiane.
Lo scorso Gennaio Andrea, con già un passato al Novara nella scorsa stagione, aveva firmato per l’Entella. Poi, durante le visite mediche, viene riscontrato qualcosa che non va: la cicatrice sospetta riscontrata nella risonanza a cui viene sottoposto conferma una cardiopatia, con l’impossibilità di ottenere l’idoneità sportiva.

“E’ stata la mia fortuna.
L’Entella mi ha aiutato tantissimo mettendomi a disposizione uno dei migliori cardiologi italiani che è il professore Zeppilli: abbiamo anche parlato di una possibile operazione ma poi si è convenuto che fosse inutile rischiare.
Ora sto elaborando il mio lutto sportivo ma devo dire che appena ho saputo il tutto ho pianto perché ho pensato immediatamente a mia moglie e alle mie figlie.
E’ incredibile quanto ho rischiato in questi anni: se ci penso mi vengono i brividi. Sto attraversando un momento duro perché vi assicuro che non è facile ma posso comunque considerarmi un ragazzo fortunato.
Non finirò mai di ringraziare l’Entella: senza di loro non avrei mai scoperto tutto ciò.
Ero convinto di avere un cuore forte e questo mi ha lasciato di stucco anche perché fino ad ora in tutte le visite mediche che avevo affrontato non era stato riscontrato nulla di anomalo.
Quando ero allo Swansea un mio collega, Besian Idrizaj, era morto nel sonno per un infarto.
Inoltre con Daniel Jarque, capitano dell’Espanyol, deceduto a 26anni sempre per un attacco al cuore avevo giocato insieme nelle giovanili del club spagnolo.
Voglio comunque tranquillizzare tutti i mie colleghi: in Italia chi gioca a calcio è molto tutelato, possiamo stare tranquilli. Pensate che tanti calciatori mi hanno chiamato per chiedermi nel dettaglio quali esercizi avessi fatto per far emergere questa mia problematica.

Non sono stato lasciato solo e in tanti mi stanno chiamando per manifestarmi la loro vicinanza: dai dirigenti dello Swansea e del Brighton, club in cui ho giocato, fino ad arrivare a Eugenio Corini.

Della mia carriera conserverò gelosamente il ricordo dell’esordio con il Barcellona: non dimenticherò mai la prima partita disputata lì. Era un sabato sera, il primo impegno nel campionato, già vinto, dopo il trionfo nella finale di Champions League contro l’Arsenal: potete immaginarvi come ero teso a differenza dei miei compagni che avevano l’obiettivo di far segnare Eto’o per farlo diventare capocannoniere: fortunatamente ci riuscimmo subito. Giocavo da terzino, il giorno non sono riuscito a mangiare per la tensione. Rimarrà qualcosa di indimenticabile anche per i grandiosi compagni che avevo, primo fra tutti Ronaldinho: una qualità e un fisico pazzesco.

Ora mi prenderò un po’ di tempo per capire esattamente la mia patologia e poi dovrei iniziare in Inghilterra l’iter per diventare allenatore e proseguire quindi la mia avventura nel mondo del calcio”.

Perchè c’è sempre un domani, e dopo ogni tempesta vi è sempre il sole.

Forza Andrea!

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