Football Stories: George Best

“Ho sentito raccontare molte leggende ai bambini. Alcune di queste riguardavano me”. 

Il protagonista di questa storia non è facile da descrivere, così come non è stato facile da capire per i suoi contemporanei. Un’esistenza trascorsa a inseguire gli eccessi. La sua maniacale ossessione per la competizione lo ha fatto primeggiare sui campi da gioco e sugli sgabelli dei bar  È stato colui che ha portato il football dalle ultime pagine dei quotidiani britannici fino alla prima. La vita gli ha dato qualsiasi cosa si possa desiderare, per poi riprenderselo tutto in una volta durante una fredda giornata di novembre del 2005. Forse anche in ritardo, perché le leggende come lui non meriterebbero di conoscere l’agonia. Protagonista di libri, film e canzoni: il suo nome è George Best, ma per gli amanti di questo sport è George “The” Best.

BELFAST: George nasce a Cregagh, quartiere della capitale dell’Irlanda Del Nord, il 22 maggio del 1946 da Dickie e Anne Best, entrambi di religione protestante. Il primo lavora nei grandi cantieri navali, dove nel 1912 è stata varata la più grande nave mai costruita all’epoca: il leggendario Titanic, creato per ergersi a capolavoro dell’umanità per anni e anni ma che – come tutti sanno – si è inabissato durante il viaggio inaugurale. La vita del piccolo George cambia quando la famiglia decide di trasferirsi al 16 di Burren Way: è qui che Bob Bishop, osservatore in Irlanda per il Manchester United dal 1950, si accorge di lui. Visti gli ottimi rapporti con Bud McFarlane, allenatore in seconda del Glentoran ma a tempo perso prima guida dei Cregagh Boys, inizia immediatamente a chiedere informazioni su di lui. Convinto delle potenzialità del ragazzo, Bishop gli organizza un provino. Quello che però omette di dire al ragazzo è che la squadra contro cui si misurerà ha un’età media di tre anni più grande rispetto alla sua. Dopo aver visto con i propri occhi che George aveva praticamente ridicolizzato gli avversari, decide di mandare un telegramma a Mutt Busby, il leggendario manager del Manchester United. Il testo è breve, lapidario: “I’ve found you a genius“, “ti ho trovato un genio”. Reitera il tutto con una telefonata, alla quale Busby risponde: “spero sia importante, sto preparando una partita!“. Bishop lo rassicura immediatamente: “lo è eccome, ho trovato il giocatore che ti potrà far vincere la Coppa dei Campioni“. Già, la Coppa dei Campioni, l’ossessione di Matt Busby, ancora più accentuata dopo il disastroso incidente aereo di Monaco del 1958. Il primo provino di George allo United non va come sperava. Deluso fa ritorno a Belfast, convinto di non essere ancora pronto a fare il salto di qualità. Dickie Best decide così di chiamare Busby in persona: “allora? Com’è andata” – “Signor Best, ce lo rimandi”. Così accade, ma stavolta l’esito è totalmente opposto: arriva finalmente il suo primo contratto.

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MANCHESTER: Dopo essersi accorto che Georgie stava letteralmente demolendo tutti a livello giovaniile, Busby decide che è il momento di farlo esordire in prima squadra: il 14 settembre del 1963, contro il West Bromwich Albion, la sua luce inizia a brillare nel calcio che conta. Lo United vince 1-0 e, anche se il giovane irlandese non segna, il suo nome inizia a comparire sulle pagine dei giornali. Torna a casa per le vacanze di natale, ma nel “boxing day” lo United subisce una pesantissima sconfitta e Busby, delusissimo, decide di stravolgere la squadra per la partita del 28 dicembre contro il Burnley. La maglia numero “7” è ancora sulle sue spalle: la prestazione è nuovamente ad altissimi livelli, ma stavolta arriva anche il gol. Nel 1965 lo United vince la Premier League e a George si aprono finalmente le porte della Coppa dei Campioni. Ai quarti di finale arriva la consacrazione europea. Davanti allo United si presenta il Benfica del grande Eusebio e George, al ritorno, è assoluto mattatore: due gol e tanto spettacolo. I giornali portoghesi, tra cui “A Bola“, lo definiscono “il quinto Beatle“, per il suo look anticonformista e il suo comportamento sopra le righe. Soprannome che George non ha mai accettato, convinto che i veri anticonformisti fossero Jim Morrison o i Led Zeppelin, non chi vestiva in giacca e cravatta. Il Manchester United viene eliminato il turno successivo dal Partizan di Belgrado, ma l’occasione per rifarsi arriva due anni dopo, nel 1968. La semifinale è contro il Real Madrid: l’andata a Old Trafford finisce 1-0 per i padroni di casa, ma al Bernabéu serve un vero e proprio miracolo dopo il 3-1 dell’intervallo. Il miracolo, ovviamente, accade e lo firma sempre lui, il “7”, che serve l’assist decisivo a Foulkes (uno dei sopravvissuti del 1958) per il 3-3 conclusivo. In finale si presenta nuovamente il Benfica: 1-1 al termine dei 90 minuti regolamentari, vantaggio di Bobby Charlton e pareggio di Graca, e squadre a riposo per disputare i supplementari. Nei 30 minuti successivi, Best dimostrerà al mondo intero di essere il miglior giocatore in Europa, inventandosi un gol praticamente da solo nel momento peggiore per la sua squadra. Il match termina 4-1 per i Red Devils e, al termine della stagione, George riceve il Pallone d’Oro. Alla Coppa dei Campioni, quella sera, si aggiunge però un’altra coppa: quella di champagne, alla quale ne seguiranno molte, molte altre. La bottiglia ha ufficialmente preso il sopravvento sul pallone e, nel periodo di maggior splendore della sua carriera, inizierà per lui un declino inesorabile.

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IL DECLINO: Dopo aver realizzato il suo sogno, Busby sale ai piani alti come dirigente e al suo posto – alla guida dello United – arriva O’Farrell. Fin da subito, il nuovo manager e George Best entrano in conflitto. La sua passione sfrenata per alcol e donne lo sta allontanando definitivamente dall’Olimpo del calcio. Decisiva per il suo addio ai Red Devils è la partita contro il Chelsea. Best perde il treno della squadra ma promette di arrivare con quello successivo. A Londra arriverà, è vero, ma a Stamford Bridge non ci metterà mai piede perché passerà tutta la notte con la bellissima Sinéad Cusack, futura moglie di Jeremy Irons. A questo punto O’Farrell dice “basta” e, il primo gennaio del 1974, le strade di Best e del Manchester United si dividono definitivamente. Al termine della sua carriera in rosso si contano 178 gol in 466 partite, forse troppo pochi per uno con il suo talento. Giocherà ancora, addirittura in tre continenti (America, Australia e Africa), ma ormai non è più importante seguirlo. Un po’ come il Titanic, la sua vita ha iniziato a inabissarsi troppo presto e nel momento di maggior splendore. “Se non fossi stato così bello, nessuno avrebbe mai conosciuto Pelé“. E ancora: “Ho speso un sacco di soldi in donne, alcol e macchine veloci. Il resto l’ho sperperato“. A sentirle adesso, queste sembrano citazioni tratte da un film, invece lui era proprio così. Nella sua mente, George non poteva più tornare indietro, perché ormai stava vivendo una vita che nessuno poteva portare avanti tranne lui: è stato a letto con due Miss Mondo, ha avuto due mogli e si è scolato quantità ingenti di qualsivoglia tipo di bevanda alcolica presente in natura. Nel 1994 arriva la mazzata definitiva: dopo aver perso la madre per alcolismo, viene abbandonato anche dal suo secondo padre, Matt Busby. Al momento dell’interramento, Sandy, il figlio di Matt, si avvicina e gli sibila: “lo sai che ha amato te più di tutti gli altri?“. Queste parole suonano come un rintocco di campana nelle orecchie di George: adesso era solo, contro il mondo che prima lo aveva osannato e adesso lo stava inesorabilmente dimenticando.

ANCORA BELFAST, PER L’ULTIMA VOLTA: George Best muore al Cromwell di Londra il 25 novembre del 2005. Le sue ultime parole sono un appello per le nuove generazioni: “per favore, non morite come me“. Simili a una redenzione in punto di morte, cosa da molti considerata troppo incoerente con il suo stile di vita e il suo carattere, tanto da dubitare della loro reale esistenza. Il suo più grande volere era che almeno una persona su questa terra lo ricordasse come il più grande di tutti tempi, ma per essere definito tale bisogna disporre della continuità che a lui è senza dubbio mancata. A meno che non la pensiate come tutti coloro che hanno seguito il corteo funebre, partito da Barren Way e culminato al Roselawn Cemetery, dove adesso riposa accanto all’adorata mamma Anne. Erano 25.000, e ognuno di loro credeva che: “Maradona Good, Pelé Better, George…Best“.

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