Football stories: Johan Cruijff

«Non penso che arriverà il giorno in cui, quando si parla di me, la gente non saprà di chi si stia parlando». Il simbolo della rivoluzione olandese degli anni ’70, il profeta del calcio totale, uno dei più forti giocatori di sempre. In due sole parole: Johan Cruijff.

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LA GENESI DEL FENOMENO: Hendrik Johannes Cruijff, per tutti Johan, nasce il 25 aprile del 1947 ad Amsterdam, all’ombra dello Stadion De Meer (letteralmente: lo stadio sul lago), nel quartiere popolare di Betondorp. Figlio di un fruttivendolo e di una casalinga, il piccolo Johan inizia a farsi conoscere proprio nella bottega che i Cruijff avevano aperto nella capitale olandese. Sull’insegna, non a caso, c’è scritto “PATATE”, il cibo più consumato dalla popolazione orange in quegli anni. Si racconta che ogni cliente regalava sempre una delle mele che aveva appena comprato a Johan, il quale – una volta visto uscire – correva immediatamente a rivenderla al padre. Già da bambino, sta capendo l’importanza del denaro. I primi calci li tira per strada, cosa che lui ricorderà per tutta la vita e porrà come caposaldo del suo modo di vedere il calcio: chi nasce per strada, a lungo andare imparerà a non cadere, perché conosce il significato del dolore delle ginocchia sbucciate dopo una caduta sul duro asfalto. A 10 anni, per la precisione il giorno del suo compleanno, entra a far parte delle giovanili dell’Ajax, che per prima si interessa al suo stratosferico talento. Fin da subito, i Lanceri capiscono che questo ragazzo, negli anni a venire, avrebbe fatto la storia di questo Club, così iniziano immediatamente a coccolarlo come se fosse un figlio. A 14 anni gli avrebbero comprato il motorino e lo avrebbero fatto vivere come una piccola star. Ogni giorno riusciva a vederlo dalla finestra di casa sua, lo sognava, lo bramava e finalmente lo ha ottenuto: il suo nuovo domicilio è diventato lo Stadion De Meer. Il ragazzino sta simpatico a tutti, tranne al centravanti della prima squadra che spesso lo prende in giro. Si chiamava Rinus Michels. “Che importanza ha?”, direte voi. Beh, lo vedremo presto.

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L’ESORDIO IN BIANCOROSSO: Il 1964 è l’anno del suo esordio. Nella partita contro il Groningen , l’allenatore inglese Vic Buckingham decide di schierarlo in campo e Cruijff, ancora diciassettenne, lo ripaga segnando il suo primo gol da professionista. Il giorno dopo di lui non si parla molto, anzi, in molte testate il suo nome è addirittura storpiato. L’Ajax è felice di questa situazione: “meno se ne parla, meno rischiamo che ce lo portino via”. Dalla partita successiva, però, i giornalisti iniziano a scriverlo correttamente. Il motivo è palese: i gol cominciano ad arrivare a ripetizione ed è impossibile non accorgersi che – in Olanda – qualcosa sta cambiando.

LA SVOLTA DI MICHELS: Nel 1965, a causa dello scarso rendimento della squadra, Buckingham viene esonerato e, al suo posto, viene chiamato Rinus Michels. Esatto, proprio l’ex centravanti della prima squadra che spesso prendeva in giro il piccolo Johan. Questo avvenimento segnerà per sempre la carriera del giovane attaccante con il numero 14. Le sue idee sono completamente diverse dai precedenti allenatori: la classe non manca, ma ciò che rende i suoi giocatori inferiori a quelli che compongono le altre squadre europee è la forma fisica. I suoi allenamenti , pertanto, vengono incentrati soprattutto sul lavoro atletico. Cambia anche il modulo, perché considera obsoleto e superato il famoso 2-3-5 con il quale giocavano tutte le squadre olandesi. Da quel momento si sarebbe giocato con il 4-2-4, con Klas Nunninga e il “ragazzino” a fare le due punte. I risultati iniziano subito ad arrivare: scudetto il primo anno e, il secondo, l’Ajax registra il record di gol segnati ancora imbattuto nell’Eredivisie, 122. Così come il campionato, iniziano anche le grandi campagne europee. Il primo anno, negli ottavi di finale della Coppa dei Campioni, i Lanceri si rendono protagonisti di una grande vittoria contro il Liverpool (5-1 all’andata), ma Michels intuisce che è stato un episodio casuale, che la sua squadra non è ancora pronta fisicamente ad affrontare le grandi europee. La profezia è corretta: ai quarti, l’Ajax viene eliminata dal Dukla Praga, compagine di certo inferiore tecnicamente, ma tremendamente superiore atleticamente. La squadra – pertanto – viene totalmente rivoluzionata, con l’acquisto di calciatori forti fisicamente in giro per l’europa e innesti mirati dalla primavera. Nel 1969 l’Ajax riesce finalmente a raggiungere la finale della prestigiosa coppa continentale, il rivale è il Milan di Nereo Rocco e il risultato non lascia repliche: 4-1 per i rossoneri. Ma il sentore che si ha quel giorno, nonostante l’apparente disfatta, è del tutto diverso: ci si è resi conto che, di lì a poco, le squadre olandesi avrebbero iniziato a dominare. Anche stavolta, la profezia si rivela incredibilmente esatta: l’anno dopo è il Feyenoord a conquistare la prima coppa europa olandese, mentre dal 1971 – per tre anni consecutivi – sarà l’Ajax a sollevare quel trofeo. La prima arriva contro il Panathinaikos, la seconda contro l’Inter (doppietta proprio di Cruijff) e la terza contro la Juventus. Poco importa se Michels vince solo la prima, l’artefice della svolta orange è proprio lui, che ha portato un’idea di calcio del tutto innovativa e vincente e che ha reso Cruijff, una volta per tutte, il giocatore più determinante in quel periodo. L’idea di calcio totale ha trovato il suo interprete più rappresentativo. Oltre al titolo collettivo, arriva anche quello individuale: Johan, quell’anno, vince il suo primo Pallone d’Oro. 

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CAPITANO MANCATO, ADDIO AJAX: C’È IL BARCELLONA: Come consuetudine, all’inizio di ogni stagione all’Ajax si vota il capitano. Sebbene Cruijff sia sicuro di vincere la fascia, incredibilmente la perde. Questo avvenimento innesca un processo irreversibile che lo porterà a lasciare la squadra di Amsterdam. Dopo aver appreso la notizia, Johan corre immediatamente al telefono per chiamare il suo procuratore, nonché suo suocero, Cor Coster. Sarà lui a trasformarlo nel primo calciatore-azienda di tutta la storia del football. Il presidente dell’Ajax lo ha segretamente venduto al Real Madrid, ma Cruijff non ha la minima intenzione di trasferirsi in una squadra che considera “troppo di regime”, troppo “Francisco Franco”, lui vuole andare al Barcellona, allenata proprio da Rinus Michels e – in seconda – da Vic Buckingham. Come facilmente prevedibile, i successi arrivano anche in maglia Blaugrana, anche stavolta sia in formato collettivo che in quello individuale: vincerà altri due palloni d’oro, il primo nel 1973 (per la sua stagione all’Ajax l’anno prima) e il secondo nel 1974. Il suo periodo spagnolo, però, non dura a lungo, anche a causa del fatto che Michels viene esonerato per far posto a Hennes Weisweiler.  Le parole dell’ultimo arrivato suonano come un rintocco di campana nelle orecchie di Cruijff: “in questa squadra sono tutti uguali, soprattutto tu“. Il “tu” in questione, ovviamente, è proprio lui. Il rapporto con i catalani è ormai irrimediabilmente incrinato. Nonostante Weisweiler sia stato esonerato e al suo posto sia stato richiamato Michels, nel 1977 il presidente Montal perde la corsa alle elezioni per l’anno successivo.

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LA NAZIONALE ORANGE E IL SOGNO MONDIALE: L’ideale calcistico dell’Ajax dominatore d’Europa viene esportato, come previsto, anche in nazionale. Il mondiale del 1974, che porterà l’Olanda alla finale contro la Germania Ovest, sarà il picco più alto mai raggiunto da Cruijff a livello intercontinentale. In quella squadra giocano moltissimi suoi ex compagni di club, ma tutto ruota sempre intorno a lui, che è il fulcro di ogni azione offensiva e il vero cervello in campo. La finale si tiene il 7 luglio all’Olympiastadion di Monaco ed è proprio l’Olanda a passare in vantaggio grazie a un rigore conquistato proprio da Cruijff e realizzato da Neeskens. La Germania, però, non si dà per vinta e riesce a ribaltare il risultato con un altro rigore, segnato da Paul Breitner, e al gol del solito Gerd Mueller.

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GLI STATI UNITI E IL RITORNO IN OLANDA: Nonostante Cruijff sia ancora in grado di fare la differenza in Europa, il suocero-manager decide di mandarlo a giocare negli USA. L’offerta è una di quelle a cui non si può rinunciare: il nuovo concetto di calciatore-azienda si va a innescare proprio in questo percorso. I soldi (tanti, tantissimi) hanno avuto la meglio sul prestigio. Gioca un anno a Los Angeles per poi trasferirsi ai Washington Diplomats. Quando torna in Europa, con ancora la possibilità di disputare un calcio di ottimo livello per ancora qualche anno, la squadra che lo accoglierà sarà di nuovo l’Ajax, nel quale si stavano facendo spazio nelle file delle prima squadra due giocatori di cui si sentirà parlare negli anni successivi: Frank Rijkaard e, soprattutto, un certo Marco Van Basten. Il presidente, però, non lo ama particolarmente, pertanto Johan decide di cambiare aria quasi subito. Anziché trasferirsi nuovamente fuori dall’Olanda, stavolta la combina grossa: firma per gli acerrimi rivali, il Feyenoord, con il quale vince immediatamente il titolo nazionale.

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L’ALLENATORE DEL DREAM TEAM: Johan Cruijff si ritira dal calcio giocato nel 1984, per intraprendere la carriera da allenatore. Inizia proprio dall’Ajax, con il quale vince due Coppe d’Olanda e la Coppa delle Coppe, per poi effettuare lo stesso viaggio percorso anni prima come calciatore. Nel 1988 diventa il nuovo tecnico del Barcellona, squadra che porta sul tetto d’Europa nel 1992  e che passerà alla storia con il nome di Dream Team, appellativo mutuato dalla grande squadra di pallacanestro che quell’anno delizia il mondo intero alle Olimpiadi. Quella sarà la prima Coppa dei Campioni vinta dal Barcellona, ma anche l’ultima con quella denominazione: dall’anno dopo, si sarebbe chiamata Champions League. Decide di prendere molti giocatori baschi, il difensore dal quale parte l’azione è Koeman (suo il gol decisivo in finale di Coppa Campioni contro la Sampdoria), imposta Guardiola come cervello di centrocampo e – davanti – si affida ad un terzetto di enorme talento e affidabilità: Hristo Stoičkov, Michael Laudrup (danese e quindi più avvezzo a imparare le lingue più facilmente) e “o Baixinho” Romario. Proprio quest’ultimi tre sono trattati in modo diverso rispetto agli altri compagni: Cruijff dà loro totale libertà, perché ormai si sono perfettamente integrati nell’idea calcistica dell’allenatore, ma di ciò che fanno in campo devono discuterne tra loro e tra loro soltanto. La squadra propone gli stessi dettami tattici che Cuijff calciatore aveva ereditato da Rinus Michels, ma in più ci sono delle modifiche che portano molti suoi colleghi ad additarlo, a torto, come “visionario”. Il suo Barcellona, per prima cosa, ha un’altezza media che non supera l’1,70, niente spilungoni lenti e statici. Per ovviare al problema dell’evidente deficit durante gli angoli a sfavore, lascia i suoi tre davanti sulla linea di centrocampo, in modo tale che gli allenatori avversari lascino almeno 5-6 giocatori a marcarli, rinunciando così a portarsi in area per il corner. Un’altra curiosità è rappresentata dal post-partita: Johan entra negli spogliatoi sempre 10 minuti dopo dei suoi calciatori, proprio per dare loro la possibilità di insultarlo. Cosa che, ovviamente, faceva anche lui quando portava le scarpette chiodate. Nel 1996, quando già ha deciso che i prossimi due acquisti sarebbero stati Giggs e Zidane, il solito screzio con il presidente fa sì che il mondo non veda mai quella che probabilmente sarebbe stata la squadra più forte di tutti i tempi.

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Il carattere di Cruijff, probabilmente, è stato croce e delizia della sua carriera. È innegabile che, di calcio, sia stato quello che ne abbia capito più di tutti, ma è altrettanto vero che questa sua convinzione di essere onnisciente e di aver sempre ragione – spesso – gli si sia ritorta contro. Sta di fatto che ogni appassionato di calcio, volente o nolente, gli debba qualcosa. Sono state le sue idee a farci vedere questo meraviglioso sport sotto una luce totalmente nuova e – senza dubbio alcuno – decisamente più luminosa. Per non dire abbagliante.

Fabrizio Famulari.

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