L’Italia di Prandelli, un progetto persosi a metà

Richiamato a gran voce come salvatore della patria dopo il disastroso Mondiale sudafricano, Cesare Prandelli ha concluso la sua avventura azzurra esattamente come il suo predecessore (che pure “qualcosina” 4 anni prima l’aveva portata a casa), lasciando anticipatamente il Brasile già alla fase a gironi. Era dagli anni 60′, dopo la Corea del 66′, che l’Italia non salutava anzitempo per due Mondiali consecutivi, 50 anni dopo è toccato al duo Lippi-Prandelli, da colui che aveva escluso Cassano e Balotelli a colui che invece ha insistito su Cassano e, soprattutto, Balotelli. La stampa si sa, su queste cose si diverte, seguendo l’onda popolare che di razionalità ne conserva poca e di coerenza ancora meno, ma anche i Ct, e in questo caso il dimissionario Prandelli, sembrano averne poca.



Ritorniamo all’indomani dell’insuccesso con la Slovacchia, Lippi saluta, processi a furor di popolo, Prandelli invocato, squadra basata sui giovani, bel gioco, Nazionale a chi merita, ma poi quante di queste cose sono state vere? Puntare sulla classe di Cassano e Balotelli, fu questa una delle prime frasi di Prandelli, preso dall’idea di trasferire un gioco fatto di possesso e divertimento alla spagnola nella nostra nazionale, non riuscendoci spesso, di fatto quasi mai.

Le recenti gare del Mondiale brasiliano l’hanno dimostrato, nel calcio moderno ci vuol sempre più gamba, atletismo, duttilità, corsa a perdifiato e tanta tanta grinta, voglia di primeggiare sull’avversario, se cammini stancamente per il campo in attesa del colpo di genio hai perso in partenza. Alzi la mano chi ha mai visto una Nazionale “azzannare” (e non certamente alla Suarez) gli avversari, correre su ogni pallone, avere un’idea di gioco che ti faccia dire: “si, questa è l’Italia di Prandelli”.

Eppure il Ct la sua linea l’aveva impostata, ed inizialmente anche seguita, trasferire un gioco così lontano dall’idea italica in azzurro non era cosa semplice, e di fatto si è tramutato in tante, troppe partite, in uno sterile possesso palla fine a se stesso e privo di qualunque divertimento, ma aveva anche dato i suoi frutti: una qualificazione all’Europeo senza alcuna difficoltà, una vittoria sulla Spagna campione del Mondo in amichevole, un paio di amichevoli pareggiate con l’eterna rivale Germania, un Europeo giocato bene nel debutto con gli iberici ( Di Natale fu l’unico a bucar Casillas), una gara strameritata e ad altissimi ritmi con gli inglesi ( a proposito di gioco moderno e ritmi alti) ma vinta solo ai rigori, una semifinale memorabile con la Germania. Tralasciando sulla finale senza mai scender in campo con la Spagna, dove tra giocatori acciaccati e scelte curiose (Thiago Motta in campo per recuperare il risultato, uscito dopo pochi secondi per infortunio), l’operato del Ct era comunque assai positivo, senza contare la convocazione di tanti giovani che sembravano ormai pronti per la maglia azzurra, contribuendo al ricambio generazionale.

Ma poi? Da qui il Ct è finito da solo in un imbuto fatto di non scelte, prendendo prima una posizione e poi quella esattamente opposta, scegliendo prima un modo di giocare per poi passarne ad un altro, prima chiamando e poi escludendo diversi giocatori, sfruttando assai poco le poche gare in cui una Nazionale può prepararsi ed integrarsi. Se rivoluzioni una squadra tra modulo e giocatori ad ogni amichevole giocata, a mesi di distanza l’una dall’altra, è difficile creare un gioco preciso, così dal Montolivo trequartista si passa al tridente, alla gara successiva giochi col solo Balotelli in attacco , in quella dopo ancora tocca a Giaccherini dietro le punte. Tanti tentativi giustamente, ma poche scelte definitive, finendo per confondere i giocatori stessi, questo probabilmente il suo vero errore, tra alcune scusanti (alcuni giovani non pronti) e qualche scelta poco azzeccata. Un’idea rimasta a metà insomma, puntare su giovani (è stato fatto), lanciare i meritevoli (è stato parzialmente fatto, con gli esordi dei vari Verratti, De Sciglio, Darmian, Cerci, Insigne), un’idea di gioco (e questo no, non è mai stato concretamente fatto).

Nell’avventura azzurra di Prandelli c’è però una costante, la grande efficacia nelle gare di qualificazione, la pochissima “voglia” dei giocatori di giocarsi a viso aperto le amichevoli (solo 4 vinte su 22), che di fatto sono quelle nelle quali puoi rodare un giocatore e valutarlo in azzurro, errore che un Ct, con poche gare a disposizione, non potrebbe permettersi, ulteriormente messo in difficoltà anche dal calendario fin troppo fitto e club poco permissivi. Poi restano le due competizioni più importanti giocate, quelle che hanno fatto restare a metà un progetto tra un Europeo da protagonisti e un Mondiale da comparse, quello che il suo successore, chiunque esso sia, dovrà portare fino in fondo, senza cambi in corsa, idee cervellotiche e soprattutto, senza il peso della stampa e dei tifosi, perchè, si sa, in Italia siamo tutti Ct, ma l’unico che lo è per davvero deve percorrere la propria strada fino in fondo.

Di seguito le statistiche di Prandelli in azzurro:

Vittorie: 23 (4 in amichevole, 14 nelle Qualificazioni, 2 all’Europeo, 2 in Confederation’s Cup, 1 al Mondiale)

Pareggi: 20 (9 in amichevole, 6 nelle Qualificazioni, 3 all’Europeo, 2 in Confederation’s Cup)

Sconfitte: 13 ( 9 in amichevole, 1 all’Europeo, 1 in Confederation’s Cup, 2 al Mondiale)

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