Moreno Torricelli ripercorre la sua storia bianconera: “Dalla Caratese alla Juventus, ero incredulo, al Trap devo tutto”

La sua è una di quelle storie da Libro cuore del calcio, da falegname a campione d’Europa con la maglia della Juventus. Non è la trama di un film ma ciò che davvero è stata l’ascesa di Moreno Torricelli, uno dei simboli della classe operaia della Juventus che nel 1996 salì sul trono d’Europa. L’ex bianconero ricorda così, il suo arrivo sotto la Mole alla corte del Trap:

Amichevole Caratese-Verona. Io ero nella Caratese.

Lì c’era Landri, d.s. vicino alla Juve che collaborava con Furino al settore giovanile. Si capisce che gli feci una buona impressione perché mi portò alla Juve a fare delle amichevoli di fine stagione con Pro Vercelli, Vicenza e Ancona.

Volevo diventare professionista, qualche squadra di C mi voleva: avevo già centrato l’obiettivo.

Non avrei mai pensato che mi richiamasse la Juve.

Invece all’inizio della nuova stagione Trapattoni disse: “Se non mi prendete Vierchowod provo questo ragazzo”.

Andai in ritiro e poi in tournée in Giappone. Al ritorno firmai il contratto in bianco, sul cofano di un’auto a Villar Perosa. Figuratevi se pensavo ai soldi.

Che ansia quando andai in sede da Boniperti con i miei due procuratori.

Lui uscì dall’ufficio e disse: “Buongiorno Moreno, vieni con me. Voi potete aspettare fuori, grazie”. Non gli piacevano i procuratori.

Dentro, c’erano le sue scarpe, i trofei, i palloni in cuoio: che emozione.

Mi diede uno stipendio di 80 milioni di lire. Per me che come falegname ne guadagnavo un milione e 200 al mese era un’enormità.

Ricordo l’enorme mix di sensazioni: incredulità, euforia, paura.

Passavo da partite dove al massimo c’erano 200 persone a stadi da 60 mila.

Dovevo entrare in questo mondo nuovo e pieno, si diceva, di calciatori viziati e un po’ stronzi.

Invece mi trovai subito bene perché scoprii compagni disponibili, bravi ragazzi.

A Trapattoni devo tutto. Ha avuto il coraggio di lanciare un dilettante.

E all’inizio la sua umanità è stata fondamentale.

Aveva l’età di mio padre, era brianzolo, mi son trovato subito a mio agio.

Mi parlava in dialetto, mi chiamava legnamè, falegname in dialetto.

Quando finiva l’allenamento mi teneva a migliorare il sinistro perché avevo una zappa al posto del piede.

Ma lo faceva anche con altri, con Conte per esempio.

Credo che la mia storia ha aiutato molto i tifosi a vedermi con affetto.

Anche le mie caratteristiche, il fatto di non mollare mai. Anche se non ero eccelso tecnicamente, davo tutto.

E poi credo che di anno in anno io abbia avuto una crescita costante che i tifosi hanno apprezzato.

Infine perché la Juve di Lippi è stata una delle più vincenti della storia”.

MORENO TORRICELLI

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