Che fine ha fatto? Sebastian Abreu, il 13 che non stava mai in panchina

Improbabile capitare da quelle parti. Profondo sud. Non aspettatevi nulla, solo praterie, qualche macchina e la statua equestre più grande del mondo. Scolpito in bronzo, vi è José Gervasio Artigas, condottiero uruguagio che è ben ricordato sia in patria che in Argentina, perchè è lui che bisogna ringraziare se Argentina e Uruguay, oggi sono indipendenti. In mezzo a questa cittadina prigioniera delle montagne, i primi abitanti furono galiziani e asturiani i quali, una volta sbarcati in America Latina, rifiutarono la Patagonia, scegliendo questa valle che dista un centinaio di chilometri da Montevideo. A Minas non accade nulla fino al 17 ottobre 1976. Viene alla luce Sebastian Abreu che nel giro di vent’anni inizierà il tour che ancora oggi sembra non aver fine.

Ama le sue nonne. Non ama i riflettori. Meglio il fuoco, una chitarra e quattro chiacchere con gli amici di sempre. A suo modo, ama casa sua. Già, ma quale delle tante? Se vi elencassi le squadre in cui ha giocato non basterebbe un pomeriggio, a me per scriverle e a voi per leggerle e domandarvi “ma da dove viene questa squadra?”. Intanto partiamo dal protagonista del tour. 193 centimetri di pura follia. Fisico snello (troppo) sorriso sempre stampato in faccia, capelli lunghi e barba folta. E tanta, tanta voglia di viaggiare. Ma Sebastian gioca anche a pallone e il fatto che abbia girato circa 30 club a lui non interessa più di tanto. è un motivo di vanto. Inizia ovviamente nella squadra locale e dopo molte buone partite e tanti gol viene ingaggiato dal Defensor Sporting, squadra della capitale. Questo ragazzino è una bomba ad orologeria, mai viste cose del genere da quelle parti. Giovane, alto e tanta garra, fondamentale per giocare da quelle parti. Neanche ventenne, firma una doppietta in Libertadores, che decide il match contro l’Universiatrio, squadra di Lima. Argentini e brasiliani iniziano a stargli dietro ma il San Lorenzo de Almagro arriva per primo e si porta Abreu a Boedo. 26 reti bastano per giocare in Spagna. Si è sentito parlare bene di lui e adesso tocca a lui, stupire il vecchio continente. Sotto la guida di Corral Garcia, subentrato a Carlos Alberto Silva, Abreu gioca quindici partite segnando tre reti di cui uno al Barcellona con un bel diagonale sinistro.

Dopo queste reti, il Deportivo inizia a mandarlo in prestito ovunque. Prima Gremio (una rete) poi in Messico in cui segna 29 reti in 35 match. Ritorno al San Lorenzo nel gennaio 2000 per poi trasferirsi in estate a casa: Montevideo. Col Nacional mantiene la sua ottima media reti e come sempre, segna con qualsiasi parte del corpo. In un gol di testa col Nacional, bacia addirittura lo stemma sulla maglia. Meravigliosi sono anche i suoi pallonetti che si insaccano, beffardi alle spalle del portiere ma qui il merito non è solo suo. Nel meraviglioso Depor di fine anni novanta vi militava Djalminha un brasiliano che come tutti i brasiliani faceva quello che voleva con la palla. Djalminha in qualche modo, arricchisce tecnicamente l’uruguagio. Gli insegna a compiere dribbling e a fare acrobazie ma Abreu rimane affascinato da come calcia la palla questo brasiliano, specialmente i calci di rigore. Panenka vi dice nulla? Djalminha gli insegna a calciare il rigore alla Panenka, ovvero il nostro cucchiaio. I consigli di Djalminha sono pochi ma preziosi: osserva il portiere, corri veloce verso il pallone e giocatela con parsimonia. Abreu prova e riprova e questo cucchiaio gli piace veramente tanto. Così tanto che molti anni dopo, deciderà di accedere ad una semifinale mondiale, proprio grazie a questo colpo. I portieri sudamericani hanno il terrore di essere beffati con una palla morbida che li scavalca. D


Dopo il Nacional si accasa in Messico, prima al Cruz Azul, passando dal Club America e finire all’Universidad Autonoma de Guadalajara: 72 presenze e 42 reti con i club messicani. Il Depor si stufa (finalmente) e decide di liberarlo dalla gabbia iberica. Nel 2004, Abreu torna al Nacional in cui aveva vinto tre anni prima due titoli. Il secondo capitolo con Nacional titola, 24 reti in 38 gare. La nostalgia messicana è troppa e Abreu torna nella patria di Speedy Gonzalez e Carlos Santana. Nel 2005 migra verso Culiacan in cui è stata fondata da poco una squadra chiamata Dorados. Strage di gol anche con una neopromossa (22 reti in 34 gare). Ma perchè nessuno in Europa punta su di lui? Perchè al nome Abreu è accostato il comunissimo nomignolo di El loco e allora meglio puntare su qualcun’ altro e non rischiare. Ma il Messico sembra davvero affascinargli e decide ancora una volta di non voler dimora fissa. Bagaglio in mano verso Monterrey nel gennaio del 2006. Qualche gol ma poi è meglio cambiare: San Luis. Città dal punto di vista artistico, impressionante. Barocco e neoclassico si fondono in un mix che rende la città unica nel paese. Ma ad Abreu interessa far gol, poco importa del barocco. Le reti saranno sei in quattordici presenze. Dopo solo sei mesi torna a Monterrey ma vestendo la maglia del Tigres. è ormai noto a tutti che il club che lo acquista si assicura sul tabellino dei gol fatti, circa 15 reti. In un campionato come quello messicano, Abreu sembra di un altro pianeta. Gli avversari quasi rimbalzano, mentre lui calcia e poi esulta. Gli schemi sono ormai semplici e prevedibili, ma del tutto efficaci. Palla alta o bassa verso il numero 13 e poi correre verso di lui ad abbracciarlo. Sebastian sembra non esser interessato alla fama, al successo e ai trofei. Lui vuol girare il mondo, lontano dai flash, dalle interviste e dalle pressioni. Un minimo di pressioni arriveranno però nel 2008. Per la terza volta, Abreu ha in mano un biglietto con destinazione, Buenos Aires. Il River Plate lo aspetta e ormai trendaduenne, c’è chi storce il naso al Monumental. Nulla importa al Cholo Simeone che ha chiesto una punta e l’ ha ottenuta. Simeone sà di poter contare sul suo fisico, sulla sua esperienza e sui suoi gol. Simeone arriva al Monumental nel gennaio 2008 dopo esser stato chiamato al posto di Daniel Passarella ed il Cholo ha a disposizione una miriade di giocatori, per lo più argentini. Gli stranieri sono solo tre: Abreu, Alexis Sanchez e Radamel Falcao. Vien quasi da ridere. Senza dimenticare gli argentini, che rispondevano al nome di: Diego Buonanotte, Sixto Peralta, Bellusci, Musacchio e due cognomi molto comuni in Italia, Higuain, ma Federico, e Zarate, ma Rolando. Abreu, segna poco ma i gol che fa son comunque pesanti e permettono al club di Buenos Aires di vincere il Clausura 2008.

In estate, lascia l’Argentina e per far rimanere tutti a bocca aperta si trasferisce a Gerusalemme, non in gita di piacere ma per bucare le mani ai portieri israeliani. Poche settimane ed è tempo di tornare a ballare il Tango. Di nuovo River e di nuovo media impressionante, un gol ogni due partite. Si stanca di Buenos Aires e torna in Spagna. Come in Spagna? Il campionato che lo ha deluso? Ma cosa importa del campionato, lui vuol girare e siccome sentiva nostalgia della terra spagnola, si accasa alla Real Sociedad che di spagnolo ha veramente poco. Sarà un caso ma la città lo accoglie come un vero benIamino anche perchè il club proviene da San Sebastian. I tifosi sperano in lui, hanno bisogno di Abreu per tornare in Liga. Da gennaio a maggio 11 reti che non bastano però a Juan Lillo per tornare nella massima serie spagnola. Città bella eh, si sta alla grande e la gente mi vuol bene ma io, ora come ora preferirei Salonicco. Accontentato. Sole iberico e sole greco hanno molto in comune, pur essendo due cose diverse. All’areoporto di Salonicco, vi sono migliaia di tifosi che lo accolgono in un modo che solo i greci possono accogliere uno come lui. Loro sanno che non sarà certo una bandiera del club ma poco importa, basta lasciare il segno nella memoria del calciatore. Quindi, cori, sciarpe e tanti fumogeni. Abreu sembra uno dei tanti dèi di cui si narra in terra greca. Storia, tanta storia ma Abreu, dopo un giro in centro, opta per quattro calci al pallone. Il 26 settembre è la data del suo primo gol con l’ Aris, una zuccata violenta che decide il match al minuto novanta, facendo impazzire il Kleanthis Vikedilis. In Grecia dura fino a gennaio 2010, quando il richiamo dell’ America Latina non può certo essere ignorato. Dopo 12 anni è tempo di tornare a ballare la samba. Rio è spettacolosa e Abreu cade ai piedi della città. C’è tanto da fare e da scoprire ma il Botafogo lo paga per fare gol. I gol arriveranno. Vincerà col club di Rio anche il campionato carioca il diciannovesimo titolo per il club bianco nero.

Vinto e festeggiato è tempo di volare in Sudafrica, perchè la Celeste dopo otto anni torna a giocare un Mondiale e lo fa da primissima outsider. Dopo le grandi favorite ci sono loro, i temuti uruguagi di Lugano. Insieme a lui vi sono: Forlan, Cavani, Suarez, Caceres, Diego Perez ed Abreu pronto a fare la differenza a 34 anni. La squadra di Tabarez è un mix perfetto di giovani e veterani e solo un mister come lui può amalgamare al meglio i giocatori. Ad Abreu e compagni capita un girone non troppo facile con Francia, Messico e i padroni di casa. Si parte col botto e il primo match della Celeste si conclude a reti bianchi contro i francesi. Conquistato un punto, ne arriveranno altri sei con quattro reti fatte e zero subite. L’ Uruguay non ha mai battuto dal centro per due volte nella solita partita: zero gol subiti. La Corea del Sud sfiderà Abreu e compagni. Passa non senza qualche difficoltà, grazie a Luis Suarez che fin da giovane fa vedere cosa sarà. Doppietta per lui. Due luglio. A Johannesburg va in scena una delle sfide più pazze di sempre. Prima Muntari, poi Forlan. Supplementari. Punizione per il Ghana. Cross di Paintsil, che all’ epoca giocava nel Fulham e si è girato mezze squadre di Londra, Muslera esce alla Muslera e la palla rimane in area, in cui ne nasce una mischia, finchè la palla viene urtata violentemente con una testa verso la porta. Muslera guarda ancora per aria mentre sulla linea di porta vi sono Jorge Fucile e Luis Suarez. Fucile, prova a fare meglio di Muslera ma lo imita, ovvero mancando la palla (con le mani). In un nano secondo, Suarez pare voglia far vedere a quei due (Muslera e Fucile) che la palla va presa. Con le mani. Il problema è che Suarez non può prender la palla con le mani. Benquerença fischia, indica il dischetto ed espelle Suarez, mentre Abreu è con le mani nei capelli perchè se il Ghana segna, passa. Lo sanno tutti. Suarez esce piangendo ma in realtà ha solo dato ad Asamoah Gyan l’ occasione di sbagliare il rigore. Ed il ghanese fa proprio così. Calcia alto e poi si dispera. Come tutti i suoi compagni e come tutto il suo paese. Benquerença fischia la fine e mentre scorrono lente le lacrime sui visi dei ghanesi, le due squadre compilano la lista dei tiratori. Infallibili i primi cinque rigori, finchè non arriva Mensah, che calci praticamente da fermo un rigore che parava anche una sedia. Muslera lo respinge. Turno seguente e Pereira può quasi chiudere i giochi. Decide anche lui di imitare Muslera, rinviando verso la curva ghanese. Muslera salva ancora il suo paese, tuffandosi nuovamente alla sua sinistra e respingendo il rigore di Adiyia, il quale aveva a sua volta imitato Mensah. Lo ammetto, sto facendo melina. Lo faccio per arrivare a questo momento, al momento in cui Abreu si incammina a calciare il rigore. Prende il pallone in mano e lo guarda, quasi lo studia. Le vuvuzela, e il loro interminabile ronzio, fanno da perfetto sottofondo. Il sottofondo che ha caratterizzato il primo Mondiale, nel continente nero. Chi prega, chi non guarda e chi piange. E chi, mentre indietreggia guarda solo la palla, conscio di sapere cosa voler fare. Rincorsa lunghina, mani sui fianchi e poi il fischio. Il numero 13 corre verso il pallone, mentre Adjei prende slancio per tuffarsi alla sua destra. Abreu tocca la palla con morbidezza e poi esulta. Il cucchiaio è riuscito, la Celeste è in semifinale, con un Suarez in meno. Abreu ride e allarga le braccia mentre Cavani e tutto l’ Uruguay gli saltano addosso. I sogni sembrano quasi avverarsi mancano due partite e se le cose andranno bene sarà un delirio totale, per una nazione di circa 3 milioni di abitanti che ha (ri)trovato nel calcio, una materia fondamentale per dire: ci siamo anche noi. In semifinale ci sono gli olandesi. Si sfidano due belle squadre, ricche di tradizioni e di calciatori che hanno segnato la storia del gioco. Entrambe povere di trofei, entrambe hanno vinto molto meno di quello che meritavano, entrambe meritano la finale. Abreu entrerà solo al minuto 78, poichè Robben, cinque minuti prima, ha segnato il terzo gol arancione. El Loco non riuscirà a ribaltarla e in finale ci andranno gli olandesi. Gli uruguagi perderanno anche la finalina contro la Germania.

Tolta la maglia celeste ognuno riprende il proprio cammino. Abreu torna in Brasile e rimane a Rio per altre due stagioni. Episodio che descrive perfettamente il personaggio, è racchiuso in un Fluminense-Botafogo del 2011, gara valida per la Taça Guanabara. Minuto 51 con la Flu in vantaggio per due reti a uno. L’ arbitro concede un rigore per trattenuta e sul dischetto, dopo tante proteste si presenta il capitano. E il capitano è proprio Abreu. Il numero 13 in maglia bianca, parte e colpisce la palla ma qualcosa va torto. O meglio, qualcosa o qualcuno che si dovrebbe muovere non si muove. Diego Cavalieri para la cavadinha di Abreu. Alza le braccia e blocca la palla. Cavalieri guarda Abreu con occhi di sfida e quasi di presa in giro, cosa che farebbe qualsiasi portiere. Voi pensate che sia finita ma non è così. Due minuti dopo, altro rigore per i bianco neri e si presenta nuovamente Abreu sul pallone. Cavalieri si scorda come viene soprannominato Abreu. El loco prende la solita rincorsa e da vero loco fà nuovamente la cavadinha. Il pallone termina alla sinistra di Cavalieri che si era però tuffato dalla porta opposta. Il Botafogo nel 2012 lo manda in prestito a Florianopolis, per giocare con la maglia della Figueirense. Un solo gol in Coppa Sudamericana, quindi stufo del Brasile e del suo gioco, torna in patria, accolto come un re. Gioca solo sei mesi nel Nacional per poi giocare in una delle più belle città sudamericane: Rosario. Pochi gol (otto) e solo dopo una stagione è tempo di nuove scoperte. Ecuador. Destinazione Quito. Nel 1945 è stata fondata la Sociedad Deportiva Aucas, non da indigeni ma dalla Royal Dutch Shell, meglio nota come Shell. La rivalità con la LDU è forte e proprio quando arriva Abreu, il club è neopromosso ed è la prima volta nella propria storia. In squadra tanti ecuadoriani, due paraguaiani, un argentino e un uruguagio. Rimane a Quito solo per qualche mese, il tempo di segnare quattro gol e tornare per altri sei mesi al Nacional. I compagni paraguaiani gli parlano bene di Asuncion, lui non ci pensa due volte e vola verso il Paraguay. Ancora sei mesi, ancora in una capitale, ancora in sudamerica, stavolta pochi gol, due in dieci gare. Nel Sol de America, squadra militante nella massima serie, tre anni prima, vi militava anche un italiano, tale Massimiliano Ammendola. Classe 1990, è cresciuto in Campania, tra Napoli e periferie per poi prendere una strada simile ad Abreu, girando tra Bulgaria, Grecia e Paraguay. Peccato non si siano incontrati, magari Abreu avrebbe avuto un suo erede. A luglio 2016, Sebastian, vecchio ma non provate a dirglielo, piuttosto che smettere giocherebbe a El Salvador. E accadde esattamente questo. Nome del club: Santa Tecla. Fondazione: 2007. All’Estadio Las Delicias impazziscono tutti per lui. Vende tante maglie, e i dieci mila posti a sedere, trovano presto un padrone per 90 minuti più recupero. La squadra arriva alla finale di Apertura. Uno a uno dopo 45 minuti. Nel secondo tempo la deciderà proprio Abreu. Primo gol con un pallonetto di testa che beffa il portiere, indeciso se uscire o no. Esultanza sotto la curva, immobile a braccia conserte. Il numero 22 con la maglia verde e blu, replicherà al minuto 93, sul risultato di due pari. Ancora una volta di testa. Calcio d’ angolo, palla sul primo palo e con una meravigliosa torsione, Abreu manda la palla sul secondo palo. Un gol meraviglioso. Abreu manda il club e la città in paradiso. Una festa che durerà per giorni. Compiuta una missione è tempo di altre sfide, mezzo Sudamerica lo vuole, piccole o medie squadre che siano. Non importa se colombiano, cileno, argentino o brasiliano, il pallone è rotondo da tutte le parti. Nel novembre 2016 è tempo di tornare a Rio, in una delle squadre meno titolate della città, il Bangu. Il Bangu segna anche un traguardo e un record per Abreu. Firmando con i brasiliani, entra di diritto nel guiness dei primati, poichè gioca per la ventitreesima volta in un club diverso. A Rio rimane solo quattro mesi, segnando tre reti. Il 3 aprile 2017, viene ufficializzato il suo trasferimento al Central Espanol FC, squadra meno titolata della capitale uruguagia, che nella sala trofei può mostrare solo un titolo nazionale (1984) e tre campionati del campionato inferiore, l’ultimo nel 2012. Aspettando l’ estate, il caldo e il mare, tutti gli amanti del calcio, saranno curiosi di sapere dove andrà a finire Abreu, mai stanco di girare ma soprattutto di giocare, ricordando che ha quarant’anni. Inutile dire che, certi personaggi,  possiamo trovarli solo da queste parti. Angoli di mondo che regalano storie, uomini da consegnare alla storia.

Lunga vita al Loco Abreu. Lunga vita ai numeri 13.

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