Football Stories: Alfredo Di Stéfano

Quando nel calcio si parla di Buenos Aires, molti appassionati rispondono sempre con lo stesso nome: Diego Armando Maradona. Quello che però non sanno è che, prima di lui, nella stessa città è nato un altro genio. Colui che aveva un rapporto intimissimo con la palla, quasi materno, tanto da ringraziarla nella sua biografia con l’appellativo con il quale gli argentini chiamano la loro madre: “gracias, Vieja“. Lo stesso rapporto, forse ancor più intimo, che aveva con la porta avversaria: «segnare un gol è come fare l’amore, tutti lo sanno fare ma nessuno come lo so fare io». Elegante ma anche spietato, sacro ma anche profano, precursore del calcio moderno giocato di prima e di pensiero: questo è stato – e sarà per sempre – Alfredo Di Stéfano. O meglio, Don Alfredo.

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IL RIVER E IL PRESTITO ALL’HURACAN: Il protagonista della nostra storia nasce a Barracas, uno dei quartieri di Buenos Aires, il 4 luglio del 1926. Differentemente da molti altri campioni che hanno iniziato a giocare nelle squadre minori della propria città, il piccolo Alfredo parte direttamente dal gradino più alto: la squadra “ragazzi” del River Plate. Fin da subito riesce a farsi notare, già in molti si accorgono che questo bambino diventerà un grande campione, ma tra tutti i complimenti piovuti in quegli anni ce ne sarà uno in particolare che gli darà la spinta decisiva: quello del suo idolo, Arsenio Erico, centravanti dell’Independiente. In quel periodo, la prima squadra del River era denominata la “Máquina“. Il motivo si spiega facilmente: la linea d’attacco, tutt’ora considerata la più forte di tutti i tempi in Argentina, si muoveva come un sol uomo, come un meccanismo perfetto. Come, appunto, una macchina. Muñoz, Moreno, Pedernera, Labruna e Loustau: da ognuno di loro, Don Alfredo coglierà i punti di forza e li farà propri. Nella partita d’esordio contro l’Huracan viene notato dal presidente della squadra avversaria, il quale si reca immediatamente da quello del River per chiedere il prestito di Di Stéfano. Leggenda narra che la situazione si sia svolta in modo un po’ particolare, visto che alla gentile richiesta si aggiunse anche lo scatto del grilletto di una pistola per “facilitare” la trattativa. L’anno dopo torna al River e diventa ufficialmente il nuovo centravanti della “Máquina“: a lasciargli il posto è Pedernera, colui che – prima di tutti – gli aveva insegnato l’importanza di giocare palla a terra e di prima. Quell’anno segnerà 28 gol, vincerà il campionato e si consacrerà – definitivamente – come talento assoluto del calcio mondiale.

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L’APPRODO AI MILLONARIOS: Arriviamo così al 1949, anno in cui si consuma una delle più grande tragedie della storia italiana non esclusivamente calcistica: il 4 maggio, l’aereo che sta riportando a casa i giocatori del Grande Torino dopo una trasferta in Portogallo si schianta sulle muraglie della basilica di Superga. Per onorare la memoria della squadra italiana più forte di tutti i tempi, il River Plate chiede – e ottiene – di poter giocare una partita al Filadelfia (al tempo lo stadio del Toro). Al termine dell’incontro, il Torino e il River Plate riescono a trovare un accordo per il trasferimento di Di Stéfano in granata, che prevede addirittura un compenso per il calciatore del 15% sul prezzo del cartellino. Ormai decisi a ultimare il tutto si recano dal centravanti argentino per chiudere l’affare, ma la risposta ricevuta gli spiazza: “sarei onorato di giocare per una grande squadra come la vostra, ma ho già trovato un accordo con il Millonarios. Andrò a giocare in Colombia”. Un anno prima era nata la División Mayor del Fútbol Colombiano, campionato non riconosciuto dalla FIFA che – pertanto – presentava un vantaggio e uno svantaggio: lo svantaggio era rappresentato dal fatto che i giocatori che ci andavano a giocare erano a rischio squalifica, mentre il vantaggio era che le squadre offrivano contratti milionari (da qui il nome) senza preoccuparsi del prezzo del cartellino. Di Stéfano si trova immediatamente a proprio agio, contando il fatto che in Colombia si gioca in altura e il suo strapotere fisico gli permette di fare ciò che i comuni mortali non possono. In più, la palla acquista molta più velocità, pertanto i suoi tiri diventano veri e propri bolidi. Tutta la squadra è mostruosamente forte: vince 3 titoli e prende la denominazione di “5 y baile”, perché dal quinto gol in possono anche smettere di giocare. La luce più luminosa è ovviamente la sua, quella di Don Alfredo, talmente superiore agli altri che Pedernera (colui che gli aveva lasciato la 9 al River e che adesso era suo compagno di squadra) gli deve chiedere di andare più piano per non ridicolizzare gli altri 10. Ormai, però, non si può più tornare indietro: il campionato colombiano inizia a stargli stretto. C’è aria di cambiamento.

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L’UOMO DELLE 5 COPPE DEI CAMPIONI IN BLANCO: Per il cinquantesimo anniversario della nascita del Real Madrid, al Bernabéu nel 1952 si gioca una partita che vede contrapposti i Blancos proprio ai Millonarios. Come già accaduto per il suo approdo in Colombia, Di Stéfano viene nuovamente ceduto ai padroni di casa, ma anche stavolta una squadra si è già fatta avanti per acquistare il fenomeno argentino. La squadra in questione è il Barcellona, che ha offerto 200.000 dollari al River Plate (ultima società riconosciuta dalla Fifa che deteneva il cartellino di Di Stéfano). Ecco che si viene a creare uno dei più grandi intrecci di mercato della storia del calcio, che una ventina di anni dopo si ripeterà – a parti inverse – con Johan Cruijff. La prima proposta, formulata da uno degli uomini di fiducia di Francisco Franco, è di farlo giocare i primi due anni al Real e gli altri due al Barcellona. Quest’ultima però non ci sta e, nonostante l’inserimento in extremis della Juventus, Di Stéfano firma per 4 anni con le merengues. La prima settimana è già decisiva per il suo inserimento in squadra: dopo essersi accorto che il gioco degli spagnoli consisteva nel “maltrattare” la tanto adorata vieja, decide di dare la sua impronta. Così come gli avevano insegnato al River: la palla va giocata a terra, di prima e in modo elegante. Da qui, si creerà una delle squadre più forti e vincenti di tutti i tempi. Soprattutto in Europa. Già, in Europa, ma ancora non esisteva un campionato che racchiudesse tutte le vincitrici dei tornei nazionali! Presto, fatto: nel 1955 nasce la Coppa dei Campioni, su proposta del direttore de L’Équipe Hanot e su attuazione della UEFA. Questo, così come i successivi 4, saranno anni targati Real Madrid: vinceranno 5 coppe dei campioni consecutive e la “Saeta Rubia” (così era soprannominato Di Stéfano per via del colore dei suoi capelli e del nome del più veloce aereo militare argentino) segnerà in tutte e cinque le finali. Il gioco espresso è ai limiti del pensabile, soprattutto da quando a Di Stéfano e Gento si affianca un altro fenomenale attaccante: Ferenc Puskás.

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DON ALFREDO L’IMMORTALE: Il 1965 torna la possibilità di vincere la Coppa dei Campioni. In finale c’è l’Inter del mago Herrera. Di Stéfano giunge alla partita conclusiva sapendo che il suo corso al Real è praticamente giunto al termine, così quando esprime un parere sulla tattica da usare non viene preso in considerazione. La partita, ovviamente, va come dice lui: l’Inter stravince sul piano tattico e conquista la seconda coppa dei campioni della sua storia. Bandito dal Madrid dal presidente per non aver accettato un match d’addio, tornerà molti anni dopo in veste d’allenatore, dopo aver vinto sia con il Boca che con il River in patria. Nel 2005 gli viene diagnosticato un problema cardiaco, che lo costringerà a lasciare questo mondo 9 anni dopo. Non prima però di aver visto il suo Real Madrid sollevare al cielo la tanto agognata decima coppa dei campioni, trascinata dal talento più luminoso: quello di Cristiano Ronaldo. Il giocatore che lo stesso Alfredo aveva consigliato al presidente Perez in quanto era convinto che più di tutti gli assomigliasse.

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Il suo unico rimpianto in una vita colma di successi è stato quello di non aver mai potuto vincere un mondiale, nonostante abbia giocato in 3 nazionali diverse. Poco importa, se si pensa che talenti di calibro mondiale come Stanley Kubrick o Leonardo di Caprio non hanno mai vinto un oscar. Ciò che la “saeta rubia” ha lasciato al mondo è stato un trattato di sport come pochi altri nella storia: tecnica, fisico, agilità, intelligenza, potenza e precisione. Per questo e per molto altro, se lui ringraziava la “vieja” per tutto ciò che gli ha dato, allora noi possiamo tranquillamente rivolgerci a lui e dire “Gracias, Viejo“.

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