Football Stories: il Grande Torino

«Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto “in trasferta”». (Indro Montanelli).

Ci sono storie che straziano il cuore di chi le racconta e di chi le ascolta; ci sono uomini che apparentemente sono come noi, fatti di sangue e carne, ma che in realtà portano con loro quell’alone di leggenda che li contraddistingue; ci sono partite che si continueranno a giocare nell’eternità a causa di un destino beffardo, perché se si crede all’esistenza di una divinità, allora si può benissimo pensare che questa li volesse tutti per sé. Ecco a voi la storia del Grande Torino, la squadra italiana più forte e famosa di tutti i tempi.

Grande_Torino_scan

LA GENESI: Nel 1939 Ferruccio Novo diventa il nuovo presidente del Torino. Si fida soprattutto di Vittorio Pozzo, il leggendario allenatore della nazionale italiana capace di vincere due mondiali consecutivi e – tra le due manifestazioni – anche un oro olimpico. La sua idea di gioco, però, è abbastanza superata: la difesa composta da 2 centrali e un centromediano metodista lascerà presto spazio al cosiddetto “WM” di stampo prettamente britannico. Soprattutto da quando, dal Venezia, Novo acquisterà una coppia di centrocampisti di livello assoluto: uno è Ezio Loik, detto l’ “elefante” per via della sua stazza, e l’altro è l’immenso Valentino Mazzola. Nel 1941 arriva Franco Ossola dal Varese, il cui presidente aveva tempestivamente avvertito Novo per evitare che lo comprassero l’Inter o il Milan. Al suo acquisto segue quello di Romeo Menti dalla Fiorentina e di Gabetto dalla Juventus. Quest’ultimo definito bollito dalla società bianconera, ma capace di smentirla in men che non si dica.

grandetorino60annisshot-1

IL REGNO DEI CAMPIONI D’ITALIA: La vittoria del campionato 1942-1943 arriverà solo all’88 nella finale giocata a Bari contro il Livorno. Come spesso accade, il gol è di Valentino Mazzola. L’anno dopo, con Badoglio che annuncia l’armistizio e decreta l’arresto di Mussolini, il campionato si gioca ugualmente: per l’occasione, si chiamerà “campionato di guerra”. È questo l’anno in cui Novo riesce nel suo piccolo capolavoro: ogni qualvolta deve acquistare un giocatore, la prima promessa è quella della quasi sicura convocazione in nazionale (vista la vicinanza con Vittorio Pozzo), mentre la seconda – nonché la più importante in quel periodo – è che non sarebbero andati al fronte a combattere. Il torneo 1943-1944 passerà alla storia perché si gioca in tre gironi diversi e la finale sarà caratterizzata da un triangolare tra Venezia, Torino e La Spezia. Ciò che lo renderà unico, però, è che a vincerlo sarà il “La Spezia”. O meglio, i vigili del fuoco di La Spezia, corpo statale che deteneva il comando nella città. Nel 1945, ovviamente, non si può giocare. Il calcio deve fermarsi per lasciare spazio a realtà ben più importanti. Campionato fermo, è vero, ma gli acquisti di Novo di certo no: nell’ottobre dello stesso anno si ricomincia a giocare e il presidente presenta un Torino ancora più forte del precedente. In porta c’è Bacigalupo, arrivato da Vado, città storica per aver vinto la prima Coppa Italia. La difesa è rivoluzionata, dal Lecco arriva il grande centrale difensivo Mario Rigamonti, dalla Triestina il centro-destra Ballarin e – da fine prestito all’Alessandria – uno dei più forti terzini sinistri di tutti i tempi: Virgilio Maroso, detto “el Marusin”. Infine, a centrocampo arriva Castigliano per supportare il duo Loik-Mazzola. Dopo la vittoria nel derby contro la Juventus (con gol dell’ex Gabetto), il Toro si assicura anche questo campionato. Ormai non ci sono più dubbi: l’Italia calcistica ha un nuovo padrone, destinato a regnare per molto tempo ancora. Da sottolineare soprattutto il cosiddetto “quarto d’ora granata”: esempio lampante contro la Lazio, con la squadra sotto 3-0, i tifosi iniziano a battere fortissimo i piedi e Valentino si solleva le maniche. Risultato? 4 gol in 15 minuti.

images (2)

IL TORO DIVENTA LEGGENDA: Nel 1949 il Torino ha praticamente due squadre: una per il campionato italiano e un’altra, la più forte, che gira il mondo per affrontare le grandi squadre straniere. Durante un Italia-Portogallo, il capitano Ferreira chiede a Valentino Mazzola di poter giocare una partita tra i propri club. Il portoghese, capitano anche del Benfica, naviga in cattive acque, ma sa che l’incasso della partita andrà tutto nelle sue tasche e grazie al Torino potrà riprendersi economicamente. Mazzola accetta e, senza nemmeno tornare a casa dopo una trasferta in Brasile, la squadra vola in Portogallo. A casa, però, non tornerà mai più. Al momento di rientrare in Italia, sotto pressione di Mazzola si decide di atterrare direttamente in Piemonte senza fare scalo a Malpensa. Arrivati sopra il cielo di Torino, il comandante riceve dalla torre di controllo l’ordine di viaggiare solo con i propri strumenti, vista la visibilità pressoché nulla. Il capitano si chiama Meroni, omonimo di colui che – tra qualche anno – farà impazzire la tifoseria granata con i suoi tocchi di palla e i suoi gol, ma che perderà la vita in giovanissima età. Il destino, quando vuole, può giocare davvero dei brutti scherzi.  L’ultimo messaggio che si sente in aereo è: “siamo a 2000 metri, tagliamo su Superga“. L’altimetro però è impazzito, in realtà i metri sono sì e no 400. L’esito è inevitabile: l’aereo si schianta contro il bastione della basilica di Superga. L’esplosione è incredibile, tanto da far accorrere immediatamente gente da tutto il capoluogo piemontese. Lo spettacolo è ai limiti del grottesco: l’aereo è praticamente disintegrato e risulta difficile individuare i passeggeri. Ad un certo punto, però, uno degli avventori vede scorgere una fotografia: è quella del Torino del 1946. Dopo poco esclama: “ma è il Torino!“. Ha ragione. Ad accorrere sul luogo dell’incidente arriva anche Vittorio Pozzo: chi meglio di lui può riconoscerli? Presto, fatto: il maresciallo dei carabinieri gli chiede di poter svolgere questo terribile compito e lui accetta. Nonostante l’incredibile fermezza nervosa dimostrata all’inizio, dopo poco arriva il primo mancamento. Il secondo arriverà la sera stessa, quando verrà chiamato per riconoscerli nuovamente davanti ai periti.

download (4)

Nel 1976, il Torino di Gigi Radice e della favolosa coppia GrazianiPulici riesce a vincere lo scudetto. Chi c’era quel maledetto 4 maggio del 1949, ed era presente allo stadio quel giorno, non ha potuto fare a meno di volgere lo sguardo verso la Basilica di Superga. Lì, e solo lì, si poteva andare a festeggiare. Era come se si fosse creata una strana congiunzione temporale che unisse le due squadre e che, idealmente, permettesse a Capitan Mazzola di sollevare la coppa del campionato 1949 che un viaggio disgraziato gli aveva sottratto. Ma se è vero che chi non c’è più vive grazie al ricordo di chi li ha amati, allora la squadra italiana più forte di tutti i tempi – realmente – non morirà mai. Un’esistenza trascorsa da imbattibili, sconfitti soltanto dal destino.

lapide

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *