Football Stories: Filippo Inzaghi

“Se in un campo di calcetto a 7 si giocasse una partita 200 contro 200, state certi che il primo gol lo farà lui”: queste sono le parole del grande Arrigo Sacchi su uno dei centravanti più prolifici che il calcio italiano abbia mai conosciuto. Una carriera costruita sull’intelligenza, sulla dedizione al lavoro e sulla vita sana: bresaola in quantità industriali e acqua minerale a temperatura naturale. Come fosse un’operazione matematica, con uno e un solo risultato: il gol. Anzi, tanti gol. Lui si chiama Filippo Inzaghi, ma per tutti è Superpippo.

GLI INIZI AL PIACENZA: Nasce a Piacenza il 9 agosto del 1973 e la sua storia calcistica inizia all’età di 12 anni, quando debutta con la squadra del San Nicolò. Insieme a lui c’è anche il fratello Simone, di tre anni più piccolo. Curiosamente, quest’ultimo era visto molto meglio dall’allenatore, vista la superiorità tecnica rispetto a Filippo. Ma si sa, nel calcio la tecnica non è tutto, e lui lo dimostrerà qualche anno dopo, quando verrà tesserato dal Piacenza. Qui troverà Luigi Cagni, l’allenatore che più di tutti gli ha insegnato a stare al mondo calcistico: alimentazione da atleta e, soprattutto, vita da atleta. Questi insegnamenti Inzaghi li ricorderà per sempre, perché raramente si troverà sulle prime pagine dei giornali di gossip, nonostante a lui – le donne – piacciano moltissimo. Una, però, sarà per sempre la sua compagna di vita: si chiama “palla”.

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IL GRANDE SALTO: Dopo le parentesi in prestito al Verona e al Leffe, durante le quali inizia a segnare i suoi primi gol da professionista, torna al Piacenza nel 1994. Qui segna 15 gol in una stagione e contribuisce in modo decisivo alla promozione della squadra in Serie A. Nell’estate del ’95, quando ormai il suo nome inizia a circolare nel calcio che conta, viene acquistato dal Parma per 5.9 miliardi delle vecchie lire. Il primo gol con i Ducali lo segna proprio contro la sua ex squadra, il Piacenza, ma qualche mese dopo subisce un pesante infortunio che lo costringe a stare fuori dai campi per 3 mesi. Nell’estate del 1996 ecco la svolta: si fa avanti l’Atalanta, compagine nella quale Superpippo si consacrerà definitivamente. Al termine della stagione i gol saranno 24, segnati in tutti i modi possibili e immaginabili, e gli varranno il titolo di capocannoniere. Le grandi, ovviamente, non stanno a guardare e iniziano a spintonare per assicurarsi i servigi del ragazzo, ma, alla fine, sarà la Juventus a spuntarla. Stavolta per 20 miliardi di lire. In bianconero Inzaghi si dimostra giocatore vero e capace di non soffrire l’enorme salto di qualità. La stagione 1997/’98 vedrà la squadra allenata da Marcello Lippi salire sul tetto d’Italia: contro il Bologna, alla penultima giornata, grazie a una tripletta del bomber piacentino.

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IL RE D’EUROPA: Gli anni successivi in bianconero, complice anche l’arrivo del centravanti francese David Trezeguet, non vanno come sperato e, nell’estate del 2001, il Milan bussa alla sede di Corso Galileo Ferraris con una proposta: 40 miliardi di lire più il cartellino di Cristian Zenoni. Detto, fatto. È in rossonero che Superpippo diventa leggenda. Al Milan la sua passione per il gol inizia a diventare maniacale, quasi algebrica: inizia a studiare attraverso i video tutti i difensori che militavano in Serie A e a controllare meticolosamente le statistiche dei crossatori che la dirigenza gli metteva a disposizione. Curioso, perché in Italia vincerà un solo scudetto da protagonista nel 2004 e un altro da riserva nel 2011: il suo nuovo palcoscenico è l’Europa e lui sarà l’attore protagonista dello show. La prima Champions League arriva nel 2003, nella finale tutta italiana contro la Juventus, e Inzaghi è assoluto mattatore nel quarto di finale contro l’Ajax. Dopo lo 0-0 dell’andata giocata ad Amsterdam, a San Siro il Milan è costretto a vincere. Superpippo mette a segno l’1-0, Litmanen pareggia, Sheva riporta avanti il Milan e Pienaar rimette di nuovo a posto i conti: 2-2 e olandesi in semifinale. Ma poi arriva lui, il numero 9, che – all’ultimo istante – mette il piedino su un cross di Maldini e anticipa il portiere dei lancieri. La palla sta entrando in porta, il gol ormai è certo, ma dal nulla sbuca il danese Tomasson che, rischiando di rovinare tutto, tocca la palla quando ormai è a pochi millimetri dal superare la linea di demarcazione. L’arbitro gira il braccio e indica il centrocampo: gol, il Milan è in semifinale. La seconda coppa dalle grandi orecchie arriverà 4 anni dopo, nel 2007, dopo che l’anno prima era salito sul tetto del mondo con la nazionale guidata da Marcello Lippi. La partita è contro il Liverpool. Già, il Liverpool, la squadra che – nella disgraziata finale del 2005 a Istanbul – è riuscita a rimontare 3 gol ai rossoneri per poi vincere ai rigori. Gli dei del calcio, però, sanno togliere ma anche dare: punizione di Pirlo e Inzaghi, come spesso faceva, passa in mezzo. Sovente la mandava fuori, ma stavolta è in porta. Reina è spiazzato e il Milan è avanti 1-0. Nell’intervallo Gilardino è pronto a subentrare a Superpippo, ma no, non è ancora il momento: filtrante di Kakà ed eccolo, di nuovo lui, il malato del gol, che aggira Reina e deposita per il 2-0. Il Liverpool accorcia le distanze, facendo rivedere ai rossoneri i fantasmi turchi, ma quella notte va come deve andare. Il Milan vince nuovamente la Champions League, la settima della sua gloriosa storia. Storia che, per i rossoneri, finirà lì, almeno per il momento. Per lui invece continua, perché nel 2011, con una doppietta al Real Madrid, raggiunge Raul in cima alla classifica dei migliori marcatori europei con 70 gol. Tutto questo prima che due ragazzini, che rispettivamente si chiamano Cristiano e Lionel, iniziassero a dominare il calcio.

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Il suo addio al calcio e alla maglia rossonera arriva il 13 maggio del 2012, giorno in cui raggiunge la presenza numero 300° con il Milan. L’avversario è il Novara e Superpippo entra nel secondo tempo. Il boato che accoglie il suo ingresso in campo fa tremare le fondamenta di San Siro e lui, come al solito, ripaga il pubblico segnando. L’ultimo gol è il 157° in Serie A. Anche stavolta, anche a 38 anni suonati. Lui è sempre lì, con in testa un solo pensiero: buttarla dentro e correre verso la bandierina a esultare come un pazzo. Con gli occhi spiritati e con le braccia larghe.

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