Nostalgia canaglia: quando la saudade prevale sulla carriera

Saudade: termine che deriva dalla cultura lusitana, galiziana, portoghese e brasiliana. Indica una forma di malinconia, un sentimento affine alla nostalgia. Etimologicamente, deriva dal latino solitùdo, solitudinis, solitudine/isolamento e salutare, salutatione, saluto.

Maledetta saudade, quel misto di nostalgia e malinconia che, spesso e volentieri, colpisce i sudamericani. Nomi illustri han finito la carriera troppo presto, o l’hanno gettata alle ortiche, proprio per questo motivo. L’ultimo caso, in ordine cronologico, quello di Tevez. Anche se per lui non si può parlare di vera e propria saudade, essendo un termine prettamente portoghese e brasiliano (mentre nel resto del Sud America si parla spagnolo), è l’atteggiamento, lo stato mentale, che non fa differenze e colpisce in modo indiscriminato. Trentun anni, piena maturità, probabilmente la miglior stagione della sua carriera, mai così decisivo, una finale di Champions League persa e un altro anno di contratto per ritentare subito: eppure, tutto questo non è bastato a convincerlo. Quello che sembrerebbe appetibile per qualsiasi altro calciatore, è stato messo da parte da Carlitos: al cuor non si comanda. La sua voglia di tornare in patria, e al suo Boca, è stata più forte di qualsiasi argomento, per quanto convincente, e Tevez ha lasciato il calcio che conta davvero dopo aver superato da poco la soglia dei trent’anni. Un addio prematuro, sì, ma perlomeno la sua carriera e i suoi trofei parlano da soli. È riuscito a tenere tutto sotto controllo senza far sì che la voglia di tornare intaccasse il suo talento e le sue potenzialità. Molti altri ci sono riusciti, è vero, ma molti, soprattutto, no. E i casi eclatanti, che hanno fatto storia, non sono pochi.

EDMUNDO

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Pensi saudade, dici Edmundo Alves de Souza Neto. Edmundo è la personificazione della saudade, nonché il capostipite del “movimento”. Storica fu la sua “voglia” di carnevale: nel campionato di Serie A 1998-1999, con la Fiorentina campione d’inverno, il brasiliano non ci pensò due volte prima di andare in patria a divertirsi: questo scherzetto, unito all’infortunio di Batigol, costò caro sia alla Viola, che abbandonò ben presto la lotta scudetto, sia allo stesso attaccante, che a fine stagione venne ceduto al Vasco da Gama dopo soli due anni passati in Toscana.

 

ADRIANO

10dir01f1-U8046101510yWB--583x458@Gazzetta-Web_mediagallery-fullscreen“Mamma, ho perso l’aereo”. Il nome italiano del film “Home alone”, molto in voga negli anni ’90, riassume perfettamente l’avventura di Adriano a Milano, soprattutto per quanto riguarda l’annata 2008-2009. Tornato già in ritardo al ritorno dalla sosta invernale, solo pochi mesi dopo l’imperatore ci cascò nuovamente: impegnato con i verdeoro per le qualificazioni ai Mondiali africani del 2010 e mai sceso in campo, non si presentò sull’aereo che riportò regolarmente in Italia il suo compagno di Nazionale e di club Julio Cesar. La verità, però, venne a galla: il brasiliano aveva chiesto alla società nerazzurra di poter rimanere in Brasile qualche giorno in più del previsto, ma l’esito fu negativo. L’aver perso l’aereo, quindi, sembrò più che altro una furbata. Inutile dire che a fine stagione il rapporto si interruppe con un anno d’anticipo e Adriano fece ritorno al suo club d’origine, il Flamengo.

 

RONALDINHO

mastervale-21717_(32)Non solo voglia di casa, ma anche di tanto divertimento. Le qualificazioni ai Mondiali possono nascondere sempre il pericolo dietro l’angolo: nell’ottobre del 2007 Ronaldinho e Robinho, dopo la roboante vittoria per 5-0 contro l’Ecuador, andarono a festeggiare. Le voci riportarono di un party durato tutta la notte e oltre: secondo il quotidiano “O Globo“, il festino, con alcool e donne, si svolse in un noto club alla periferia ricca di Rio de Janeiro, il Catwalk. Robinho abbandonò la discoteca alle 5 del mattino, mentre Ronaldinho si intrattenne fino a mattinata inoltrata, per poi sgattaiolare via nascondendosi nel bagagliaio dell’auto. I due calciatori, nell’occasione, non vennero convocati dai rispettivi club per il turno di campionato seguente. Il suo stile di vita sregolato gli costò probabilmente l’ultima Confederations Cup e, forse, anche il Mondiale casalingo. Dinho fu l’unico a presentarsi in ritardo al raduno per la preparazione della partita amichevole contro il Cile. Ma c’è dell’altro: il ritiro e la partita erano a Belo Horizonte, praticamente a casa sua. E nonostante questo, c’è dell’altro ancora: l’alito di Ronaldinho avrebbe tradito qualche eccesso alcolico, secondo lo staff tecnico. Nelle vacanze di Natale passate, l’ex rossonero è tornato in Messico, per unirsi al Queretaro, con tre settimane di ritardo. La prolungata vacanza del brasiliano non è di certo piaciuta alla dirigenza, ma il brasiliano ha addotto problemi personali: il beneficio del dubbio è quantomeno lecito.

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